21.7.1960. L’aviere disperso nel deserto per 19 anni
21 luglio 1960 – In Libia, fra le dune del Sahara, vengono ritrovate le ossa di Giovanni Romanini, aviere parmense scomparso esattamente 19 anni e tre mesi prima.
Il 21 aprile 1941, l’aereo MM23881 dell’aviazione italiana era decollato da Bengasi con l’incarico di rintracciare navi inglesi e silurarle. L’aereo avrebbe dovuto tornare alla base dopo alcune ore, ma non lo si vide più. Nel 1941 l’Italia non dispone di radar. Quando il bombardiere trimotore, un Savoia Marchetti 79, non rientra alla base, lo danno tutti per abbattuto nel Mediterraneo. Invece, l’aeroplano si è perso in un altro mare, il mare di sabbia del nord Africa.
Su quel velivolo stava Romanini, nato il 28 ottobre 1906 a San Polo di Torrile, assieme ad altri cinque avieri. Tutti dispersi.
Finché, in questo 1960, alcuni tecnici dell’Eni intenti ad esplorare il territorio libico in cerca di petrolio, ne trovano lo scheletro, che ancora indossa la tuta da aviatore della Seconda Guerra Mondiale. Romanini è identificato grazie alla piastrina al collo. Ma l’aereo non c’è. Non ci sono neppure i resti dei compagni. Che fine hanno fatto?
Passano pochi mesi e il 5 ottobre viene ritrovato anche il Savoia Marchetti 79, semisepolto in una duna, in parte ancora integro, con i resti degli altri cinque morti. Stanno a decine di chilometri dalle ossa di Romanini e a 400 dalla rotta che avrebbero dovuto seguire nell’ultimo volo.
Cosa sia successo lo si può solo ipotizzare. Un atterraggio di fortuna, forse seguito ad un attacco di aerei inglesi o un tentativo di diserzione. Poi la conta di danni e ferite. Forse, l’unico senza fratture e lacerazioni è proprio il parmigiano: Romanini prende una borraccia, una bussola, un binocolo e si incammina nel deserto rovente. I compagni si affidano a lui per non restare abbandonati.
Il nostro marcia e poi si trascina per quattro giorni, riuscendo a percorrere 90 chilometri. Poi il caldo, la sete, la disperazione prendono il sopravvento, il pilota si accascia e muore. L’ultimo disperato tentativo di salvarsi è il lancio verso il cielo di un razzo di segnalazione, ma nessuno lo vede.
Dal 2010, una ricostruzione della carcassa del MM23881 è esposta nel museo Volandia a Somma Lombardo di Varese. Nel 2017, la tragica marcia nel deserto di Romanini è diventata uno spettacolo teatrale, dal titolo L’ultimo volo dello Sparviero – così era soprannominato l’aereo perduto –.
Avesse resistito ancora un paio d’ore, avesse potuto camminare ancora per pochi chilometri, Romanini sarebbe arrivato alla pista dell’oasi di Giarabub, e si sarebbe salvato.