20.7.1937. L’affare (dannoso) delle bacche di ginepro
20 luglio 1937 – Il prefetto di Parma annuncia le nuove norme emanate dal Consiglio provinciale delle Corporazioni sulla raccolta delle bacche di ginepro.
Un po’ come oggi, che il gin torna di moda, anche negli anni Trenta vi è una grande richiesta di bacche di ginepro, utilizzate per i liquori. Nella prima metà del Novecento, per l’economia dell’Appennino parmense, lo “znévor” è un prodotto importante. Ogni anno sono raccolte fra quattrocento e cinquecento tonnellate di bacche di ginepro, poi interamente esportate all’estero. Si vendono a grossisti che da Parma le portano in Germania, Slovenia e Polonia, dove diventano liquore, ma anche marmellata.
La raccolta del ginepro, nelle valli Parma, Baganza, Taro e Ceno, è disordinata e distruttiva. Da anni la Cattedra ambulante di agricoltura si prodiga in raccomandazioni per non impoverire le campagne dei prezioni ginepri: se si colgono le “coccole” troppo presto e senza badare all’integrità dell’albero, non solo si abbassa la qualità e quindi il valore del raccolto finale, ma si rischia di danneggiare le piante e quindi avere ogni anno meno ginepri. Ci sono famiglie che fin da luglio prendono ad accumulare il ginepro, quando le bacche non andrebbero raccolte prima di settembre. C’è chi prende pure quelle di alberi di un solo anno, che non possono maturare.
Finalmente, in questo 1937, la raccolta viene regolamentata. Ogni Comune, su indicazione di un agronomo, indicherà la data da cui si potrà iniziare la raccolta e anche il giorno di termine. Prima e dopo non solo è vietato prendere, ma pure vendere questi preziosi frutti in chicco.
Le norme salvaguardano il ginepro, che comunque poco alla volta perderà di importanza. Nel dopoguerra, la montagna inizia a spopolarsi e il ginepro da elemento significativo per la bilancia commerciale di Parma, diventa solo bacca utile solo per liquore fatto in casa, per l’autoconsumo.