20.11.1767. Gli operai, i chiodi, il rumore
20 novembre 1767 – Il Governo di Parma intima all’imprenditore Carlo Burlazzi di spostare la sua fabbrica di chiodi dall’area urbana di Parma ad un edificio in periferia. Fa troppo rumore! Burlazzi è uno schiavista. Ai suoi operai ha ordinato di iniziare a lavorare alle tre del mattino, e poi avanti fin oltre il tramonto del sole. Per fare chiodi, questi battono e battono con i martelli su incudini e stampi. Chi abita nei pressi non può più dormire.
Burlazzi abita in strada dei Genovesi (il primo tratto di via Farini) e dichiara di essere “venditore di ferro”. La fabbrica probabilmente si trova nella zona di borgo Santa Chiara, fra le chiese di Santa Cristina, San Quintino e la perduta Sant’Apollinare (in borgo Giacomo, proprio di fronte al Caffè Tommasini), perché è da gente che risiede vicino a queste chiese che vengono le lamentele per il costante fastidioso rumore.
Così, il Governo ducale intima all’imprenditore di traslocare lo stabilimento. Suggerisce di spostarlo in un certo “campetto”, o dove vorrà Burlazzi, purché sia un luogo lontano dalle abitazioni e purché faccia presto. Viene fissato un termine ultimo, il 25 luglio del 1768, poi pagherà una multa di uno scudo e mezzo d’oro per ogni giorno di ritardo.
Ma non finisce qui. Approfondendo il caso, gli ispettori della Congregazione degli edili raccolgono anche le proteste dei lavoratori di Burlazzi, dando vita a quella che forse è la prima diatriba sindacale di sempre a Parma.
Di sindacati in Italia non ne esistono, ma quegli operai si sono organizzati da soli ed hanno contestato le condizioni di lavoro. Si tratta di lavoratori chiamati da fuori Parma e nel Paese da dove provengono non si usa lavorare tanto e così malagevolmente quanto pretende il padrone Burlazzi: minacciano di abbandonare la fabbrica, se le cose non cambieranno.
L’ingegnere Antonio Cocconcelli, che ha ispezionato la fabbrica per conto del Governo, dà loro ragione. Burlazzi deve ridurre l’attività degli operai a sole (!) dodici ore al giorno, di preferenza quelle del mattino, quando le maestranze sono più riposate. In inverno, poi, dovrà accontentarsi di metterli all’opera per il tempo in cui vi è luce naturale, perché a forza di costringerli a fissare i chiodi a lume di candela rischia di farli tutti ciechi. Si rassegni, l’imprenditore, che queste condizioni convengono anche a lui, perché a spremere troppo i lavoratori, cala la produttività e prima o poi ci si ritrova senza più operai capaci di fare il lavoro, spiega Cocconcelli.
La Rivoluzione industriale è ancora da venire. A Parma bisogna aspettare la Seconda, a metà Ottocento, per veder nascere le prime grandi fabbriche ed una società almeno parzialmente operaia. Eppure, in questo singolare caso del 1767 ci sono già tutti i problemi legati a quel passaggio.