25.2.1846. Parma come L’Avana: si amplia la fabbrica dei tabacchi
25 febbraio 1846 – Maria Luigia ordina l’ampliamento della Manifattura dei tabacchi della Certosa, dove si fanno sigari, tabacco da fiuto e da pipa. Chi si immagina Parma come una Avana d’Italia? Eppure è così: nell’Ottocento questa città è uno dei principali centri di produzione del tabacco nella penisola.
La prima fabbrica del tabacco stava a nord della città, ai Molinbassi (zona Pasubio), ma il 15 ottobre 1777 una piena la travolge. Il duca Filippo e il ministro Du Tillot decidono allora di scacciare i frati dalla Certosa (di via Mantova) e spostare lì la manifattura, dove lavorano soprattutto donne.
Nel 1830, le operaie della Certosa realizzano circa 1,4 milioni di sigari. Con gli ampliamento voluti da Maria Luigia, in questo 1846 si superano i 7 milioni e mezzo.
Per lavorare le foglie del tabacco – ma anche diversi surrogati molto diffusi – ci sono quattro torchi da spremitura e quattro macchine per il taglio. Poco fuori le mura dell’ex convento sta il mulino Moisè, dove sono installati strumenti per ridurre in polvere la nicoziana: cinque macine verticali, due frulloni e una macchina per fare i “rapè”, cioè il tabacco da fiuto. Un altro mulino sussidiario è il Loreto a Beneceto, con due macine verticali.
Le operaie vivono tutte accanto alla fabbrica, dove le ex celle dei monaci sono state adattate alle esigenze delle famiglie: 160 persone, tutte impiegate nella manifattura. Le operaie più abili arrotolano fino a 900 sigari al giorno.
Le qualità più usate sono Albania forzata e pizzighino, Caratà comune, Scaglietta e il Trinciato comune. Fino alla metà del Settecento, il tabacco era importato dalla Sardegna, poi si inizia a coltivare nel parmense, sotto lo stretto controllo del Governo, perché quella del fumo – già secoli fa – è una delle produzioni più redditizie per le finanze pubbliche.
Una grida del 1° dicembre 1646, assegna al commerciante ebreo Simone Donati il diritto a riscuotere tutte le tasse su tabacco e acquavite, sia che si tratti di prodotti importati che di produzione locale. Nel 1770 il comparto viene statalizzato e nasce la Manifattura ducale, col divieto di coltivare o importare tabacco senza licenza (una grida del 16 aprile 1785 rinnova la disposizione). Nel 1800, la privativa sul tabacco rende più di 2 milioni e mezzo di lire, un settimo di tutte le entrate dello Stato!
E allora la coltivazione della pianta viene strettamente sorvegliata. Dal 1811, la quantità di tabacco coltivabile è stabilita dal governo: nel 1814 sarà di 400 biolche nel parmense compresa Guastalla e 100 biolche nel piacentino. Il prodotto può essere venduto solo allo Stato a un prezzo prefissato, con premi per chi decide di piantare la qualità Albania. Nel 1820 è stabilito che si possa consumare solo tabacco prodotto a Parma; i viaggiatori possono portarne fino a un chilo per uso personale (il che la dice lunga su quanto si fumava!). Solo nel 1856, un accordo doganale apre le porte a sigari & affini dei Paesi confinanti.
Proprio perché fonte fondamentale per lo Stato, il tabacco fu oggetto di azioni di boicottaggio nel corso del Risorgimento. Guglielmo Neipperg, figlio di Maria Luigia, il 1° gennaio 1848 si trova a Milano come soldato austriaco. Proprio allora era stato proclamato uno sciopero del fumo, per non pagare all’Austria le tasse sul tabacco, protesta poi mutuata anche nel Ducato di Parma. Neipperg si mette in bocca un grosso sigaro e prende provocatoriamente a passeggiare di fronte al Caffè Cova, noto raduno di libertari. Un ragazzino arriva di corsa e dà uno schiaffo in faccia al conte, cacciandogli il sigaro in gola. Per reazione, gli austriaci iniziano un’azione di rastrellamento, al termine della quale si contano sei morti e 59 feriti. Sì, il fumo uccide…
La Fabbrica Ducale dei Tabacchi di Parma, importante tassello dell’economia locale, chiude nel 1891 per ordine del primo governo Rudinì. Il ministro delle Finanze Giuseppe Colombo disse che “queste riduzioni sono state consigliate dal desiderio di corrispondere meglio alle domande dei consumatori e dalla grande economia che si avrebbe avuta a beneficio dell’Erario”. Per favorire altre fabbriche di tabacchi e alcuni importatori, ma anche stabilimenti dove gli operai erano pagati meno, si sacrifica la manifattura di Parma, città periferica dell’Italia unita.
E dire che i parmigiani fumavano allora più che la media nazionale: nel 1894 a Parma (272.470 abitanti) sono venduti 35 kg di tabacco da fiuto, 91 di trinciato, 69 di sigari e 9 di “spagnolette” (le prime sigarette), cioè 752 grammi pro capite, a fronte di una media nazionale di 559 grammi.