Età contemporanea,  Ritratti

9.8.1908. Le avventure del barcaiolo del Parco Ducale

9 agosto 1908 – Muore Pietro Pecchioni, quel vecchio gentile che affitta le barche per navigare nel laghetto del Giardino pubblico. In quanti, facendosi accompagnare al remo attorno all’isoletta, con le anatre intorno, sanno delle mille avventure vissute in 80 anni da questo personaggio?

Pecchioni, prima di diventare placito nocchiero, è stato un rivoluzionario e se assieme alla barca gli chiedete un racconto, non gli mancheranno mai ricordi per stupirvi. E sono spesso storie legate all’acqua, le sue.

Come quando era bambino, figlio di un traghettatore del Po, Luigi, che nella natia Sarmato gli insegna a costruire e portare le barche. Mica solo per i viaggiatori normali, ma anche per esuli in fuga e carbonari in azione, che di notte trasbordano dal Ducato di Parma all’austriaco Regno Lombardo-Veneto e viceversa.

O come quando si arruola in Finanza, ma solo per continuare la sua attività clandestina a Sacca, lui che si è segretamente affiliato alla Giovane Italia di Mazzini.

Oppure quando, la notte del 21 marzo 1854, con pochi compagni si apposta nelle ombre di porta San Michele (piazzale Repubblica), stiletto alla mano, per uccidere il duca Carlo III. Falliscono perché la carrozza del sovrano non rallenta e non hanno modo di tirare il colpo. Carlo III sarà comunque assassinato due giorni dopo, in strada Santa Lucia (via Cavour), e anche qui c’è il nostro Pecchioni, sempre armato, solo che non è lui a tirare la pugnalata fatale.

Potrebbe raccontarvi, Pietro Pecchioni, pure di quella volta che rischiò di essere fucilato, sempre nel 1854. Il nostro barcaiolo ha partecipato ai moti del 22 luglio, soffocati nel sangue. Si scopre che alcuni soldati e finanziari hanno appoggiato la rivolta, compreso Pecchioni, che finisce agli arresti. Due finanzieri sono passati per le armi in agosto in Cittadella. Pecchioni no, ma subisce torture per un mese: ogni giorni bastonate; ma si salva.

Condannato ai lavori forzati a vita, il nostro viene rinchiuso nel castello carcere di Mantova. E qui Pecchioni inizierebbe subito a narrare della sua picaresca evasione. Assegnato al taglio della legna per la cucina, durante il lavoro, assieme a due compagni, con grande pazienza, in alcune settimane apre una breccia in un muro, che si affaccia sul lago: si tuffano, passano sull’altra sponda, si nascondono nel verde. Col buio camminano fino al Po e nuotano di nuovo per rientrare nel parmense.

Con voi, mentre vi accompagna sul laghetto del Parco Ducale, Pecchioni ricorderebbe volentieri anche gli anni al servizio di Garibaldi, come attendente di Nino Bixio. Fra i Cacciatori delle Alpi nelle battaglie di Treponti e di Varese. O con i Mille che a Quarto che si imbarcano – l’acqua torna sempre – per la Sicilia. Lui scende a Talamone, come quasi tutti i repubblicani mazziniani, poco convinti del compromesso fra Garibaldi e Vittorio Emanuele. Ma poi, fortunosamente, rientra a Genova, si imbarca di nuovo e fa in tempo a combattere a Milazzo e a Volturno.

Gli ultimi racconti di Pecchioni sono più urbani: tornato a Parma, ora città del Regno d’Italia, diventa vigile municipale. Si sposa con un’ortolana dell’Oltretorrente e fanno dodici figli; anche questa è un’avventura mica da poco.

Il mestiere di noleggiatore di barche del laghetto del Giardino pubblico è l’ultima delle sue attività, fatta un po’ per arrotondare una pensione minima, un po’ perché uno così, come fa a stare senza far nulla?

Pietro Pecchioni al remo di una barca nel laghetto del Parco Dicale nel 1901 (immagine Comune di Parma, storia Polizia Municipale)
Pietro Pecchioni al remo di una barca nel laghetto del Parco Dicale nel 1901 (immagine Comune di Parma, storia Polizia Municipale)
Busto bronzeo di Pietro Pecchioni, opera di Alessandro Marzaroli, 1910, cimitero della Villetta (immagine Ade)
Busto bronzeo di Pietro Pecchioni, opera di Alessandro Marzaroli, 1910, cimitero della Villetta (immagine Ade)

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