
9.3.1969. Finisce l’occupazione del manicomio
9 marzo 1969 – Termina l’occupazione dell’Ospedale psichiatrico di Colorno, iniziata il 2 febbraio dagli studenti di Medicina di Parma che vogliono più diritti per i ricoverati del manicomio.
A Colorno il manicomio c’è dal 1873, trasferito dalla città. Col passare del tempo è diventato sempre più grande. In manicomio ci vanno tutte le persone con disturbi mentali, assieme a qualche criminale recidivo, prostitute in pensione, alcolizzati cronici. Ci sono i giovani che le famiglie non sanno come gestire. Ci sono gli anziani affetti da demenze senili.
Negli anni ‘60 i ricoverati sono circa 1.200, tenuti in spazi chiusi con le sbarre, sottoposti a rigida disciplina: sveglia alle 6,00, niente sigarette, visite solo se autorizzate, non si esce mai, isolamento e camicia di forza per chi è troppo agitato, elettroshock come cura, bastoni per far rispettare il regolamento.
Ma perché? È davvero questo il modo migliore per curare la pazzia? Certi trattamenti disumani possono forse essere giustificati?
A Parma ci si pone queste domande da qualche anno, da quando Mario Tommasini, assessore provinciale alla Sanità dal 1965, ha iniziato a chiedere soluzioni alternative. Apre la Fattoria di Vigheffio per sperimentare un approccio completamente diverso nelle relazioni con i malati mentali, ma a Colorno trova poca sponda. Il manicomio non cambia.
Allora inizia una battaglia culturale. Nel 1967 Parma conosce le novità in campo psichiatrico applicate da Franco Basaglia a Gorizia, grazie ad un libro pubblicato e distribuito dalla Provincia, ed una mostra fotografica sugli orrori dei manicomi, presentata con una sfilata di infermieri in camicia di forza. Nel gennaio 1969 si tiene anche un convegno, concluso con una serie di rivendicazioni in favore dei ricoverati a Colorno.
Il clima di rivolta del ‘68 non può dunque ignorare l’ospedale di Colorno: per 35 giorni, decine di ragazzi controllano la struttura, i dottori sempre fuori, senza più alcuna pratica violenta, con assemblee partecipate dai ricoverati per discutere problemi e proposte e con frequenti uscite di gruppo, nelle piazze, nelle parrocchie, nelle aule, per far conoscere quel mondo chiuso che si chiama manicomio.
Ma in tanti criticano l’iniziativa. Un gruppo di infermieri, appoggiati da qualche neofascista con le molotov, prova un colpo di mano per riprendere il controllo dell’ospedale. Il blitz fallisce, ma gli occupanti perdono forze.
In questo 9 marzo, l’occupazione termina e i medici rientrano nel manicomio. Lì per lì non cambia nulla; tornano le vecchie pratiche. Ma la clamorosa iniziativa ha attirato l’attenzione di tutta la nazione sul problema manicomi, che non possono più restare dimenticati dietro le loro sbarre. L’inizio di un processo di riforma radicale che culminerà nella legge Basaglia del 1978, che chiude tutti i manicomi, Colorno compreso.
Nel marzo 1971, proprio Franco Basaglia arriva a dirigere l’ospedale di Colorno, mettendo in pratica tante delle richieste degli occupanti del ‘69.








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Succede il 9 di marzo:

