8.4.1865. Il primo dizionario parmigiano-italiano
8 aprile 1865 – Muore Ilario Peschieri, che lascia in eredità il primo dizionario parmigiano-italiano.
Amante della letteratura e dotato di memoria eccezionale, Peschieri doveva far parte di un gruppo di intellettuali incaricato dal governo ducale di compilare un dizionario del dialetto della città. Alla fine, lui è l’unico che ci lavora davvero. La sua fatica vede la luce nel 1828, in due volumi editi dalla Stamperia Banchon sui quali lavorerà ancora nel decennio seguente.
Altri dizionari di parmigiano li pubblicheranno Carlo Malaspina fra 1856 e 1859, Carlo Pariset nel 1885 e Gugliemo Capacchi nel 1992.
Nella premessa la dizionario, Peschieri avverte che il parmigiano cambia di molto allontanandosi anche di poco dalla città: “Man mano che dalla Capitale porti il piede lontano, odi novelle voci, e quasi interamente un nuovo dialetto, e del tuo ti canzona”; addirittura, ci sono “varietà di pronunciazione dall’un quartiere all’altro”.
Racconta anche della difficoltà di identificare le parole di una parlata viva, vivissima: basta spostarsi da un fabbro a un altro, o da un cappellaio a un altro, per trovare espressioni diverse per indicare il medesimo oggetto e quel che trova scritto su almanacchi vecchi anche solo di pochi decenni, sono parole già uscite dall’uso. Nel dialetto, lingua usata per parlare molto più che per scrivere, modi di dire e vocaboli nascono e muoiono con eccezionale rapidità La soluzione? Registrare tutte le varianti.
Il dizionario di Peschieri è dunque anche una bellissima fotografia della società del 1828. I lemmi elencati e le loro spiegazioni, mostrano un mondo fatto di artigiani, di cavalli, di conoscenza delle piante, di usi e tradizioni poi dimenticati.
Si trovano parole per indicare mestieri quali il salaràn (doganiere del sale) o il ferlinante, cioè l’addetto a consegnare il contrassegno per la consegna di merci (detto ferlino), o addirittura il marcadòr da bigliard, addetto ad annotare i punti in una partita a biliardo.
Ci sono strumenti scomparsi: la vàl, pala senza manico per mondare il riso; il portastòpol, anello della lanterna in cui infilare lo stoppino; la vzoèula, il carro molto basso per il trasporto dell’uva, da dieci brente. Così come ci sono indumenti superati dal tempo – ad esempio il sac da tgnirg i pe (sacco in cui tenere i piedi), borsa con pelo all’interno per scaldare i piedi – o sapori che non si possono più provare – quale del saltimpànza, dolce simile alla rosa del deserto – o odori che non si possono più sentire – come il sartomèr, tabacco da presa –.
A rendere davvero viva la fotografia del dizionario, sono le moltissime espressioni popolari che Ilario Peschieri è riuscito ad annotare. Di quel gran tesoro di vita parmigiana che è l’eredità di Peschieri, ne riprendiamo solo alcune a mo’ di esempio.
- Boffàr in t’al cul a ‘n mort, portare l’acqua quando la casa è già bruciata.
- Secrèt cme’ ‘l tròn (segreto come un dado), persona che racconta tutto a tutti.
- Dar indré d’salùta, intristire o dimagrire in misura insana.
- An g’aver né indrìtt né invérs, non avere né capo né coda.
- Andàr foèura di linzoèu (uscire dal lenzuolo), spendere più di quanto ci si possa permettere.
- Va zoèuga alla lippa (Va’ a giocare con i noccioli), offesa rivolta a gioca malissimo a qualcosa.
- Ciapàr ‘na marcòna per vùna (prendere una malattia per qualcuna), innamorarsi.
- Inamorà mort, grandissimamente innamorato.
- Bûs dla Jàcoma (buco della Giacoma), indica l’occidente.
- Tribulèri o calvàri, persona piena di acciacchi.
- Far la mandra, chi vive oziando.
- Per Santa Catarèina a s’mètta il vàchi alla cassèina (il giorno di Santa Caterina si portano le vacche al caldo), proverbio che ricorda che a fine novembre inizia l’inverno (santa Caterina d’Alessandria si festeggia il 25 novembre).
- Vàda, Giovedì, Boridòn (nomi di giochi d’azzardo), modo per indicare una truffa.
- La sagrestìa patìssa (la sagrestia sta male), si dice quando qualcuno perde tempo in chiacchiere inutili: arriva al punto!