Cultura & Società,  Età contemporanea

8.12.1966. Ercole poeta da due centesimi

8 dicembre 1966 – Da oggi, Parma ha un poeta in meno. Un poeta da pochi soldi: le sue poesie sono sempre state vendute per pochi centesimi l’una. Ma comunque una grande anima: generosa, affabile, un personaggio che per quasi un secolo ha dato carattere alla città. In questo 8 dicembre 1966 muore Ercole Manfredi, nato nell’Oltretorrente nel 1874.

Come tutti gli abitanti di là da l’acqua, Manfredi vive con coinvolgimento le molte e appassionate vicende della Parma dei decenni a cavallo fra Otto e Novecento. Parla in dialetto e scrive in dialetto. Scrive poesie, che ha l’abitudine di stampare in proprio, non in libri, ma su fogli sciolti.

I suoi componimenti, Manfredi li porta in piazza Ghiaia, dove non manca mai qualche persona povera contenta di riceverli. Perché poi, questi mendicanti, declamano i versi ad alta voce ai passanti, finché qualcuno non accetta di comprarli. È il modo di Ercole Manfredi di fare la carità.

Per ascoltare le rime del nostro poeta, fino al 1966 bisogna andare o accanto alla Steccata, o per l’appunto in Ghiaia, la piazza del mercato che era stata anche macello. A metà Ottocento l’architetto Nicola Bettoli l’ha resa monumentale, con un lungo colonnato, demolito però nel 1928, e da allora e fino a inizio anni Duemila in Ghiaia ci sono solo box di metallo. Proprio a questo intervento urbanistico poco felice, Manfredi dedica una delle poche poesie che non si sono perse assieme ai fogli volanti su cui stavano scritte:

Strana vision
Col che ‘v cont n’è gnan da creder,
Col che mi m’è tochè ‘d veder
Jer passand da la Pilota
Vers il vundz e mez äd nota.
J’ò slumè de dsôra al lenti
Cme diglj almi comparenti
Älti, grossi, dritti, tondi,
Äd color parevan biondi:
N’ò contè una trenten’na,
Mo cmè ‘s fa: s’ ghe vdeva apen’na;
I s’ n’andäven vers la Giära
Recitand un Miserere;
Quand j en städi (cost è bel)
In do gh’era l’vecc Massel,
Guardand ben chigl ombri bon’ni
J’ò capì ch’j ern il Colon’ni
Äd la nostra Giära antiga,
Dil rezdori tant amiga,
E che un ordin molt baroch
a lj à missi tutti in toch.
Mi, alora, a stagh atent
Col ch’ suceda in còl moment.
Fra un silensi sepolcräl
D’un consess acsì spetträl
Vuna a sbraja: (i n’en mogh foli),
Sorgi, sorgi gran Bettoli!
Subit dop – l’è propria vera –
A j ò vist carpär la tera
E dal bus, cmè fa un folett,
A compära l’Architett
Che davanti a sta riunion
Al comincia st’orassion:
Av salut il me colon’ni
Che si semper städi bon’ni,
Che si semper städi fieri
P’r esser fati con criteri;
Ad vojäter – an l’ò mai scos –
A son semper stè orgoglios.
J’àn ridott la nostra Giära
Ch’la n’è pu na cosa rära,
Che mi sembra – se non sbaglio –
un impianto da serraglio,
Degno ‘d Gleich, o degno ‘d Kron
Per dil gabii da leon.
E po’ erla na fadiga
Sgnär in tera la so riga,
O ‘gh mancäva forsi al gess
Ch’i lj àn missi tutti äd sbiess?
Mo guardäja, fegh a ment,
N’è migh vera ch’j én ‘d stravent
E che infinna a l’ultma gabia
J én tutt verdi da la rabia,
Perchè a direv la vritè
Gh’rida adrè tutt la citè?
A tal punto l’Architetto
Diede fiato ad un fischietto
E insèmma a la so schiera
L’è tornè a sparir sott tera.

(Strana visione. Quello che vi racconto è una cosa incredibile, quello che ho dovuto vedere ieri passando per la Pilotta verso le undici e mezzo di sera. Ho scorto da sopra agli occhiali come delle anime che apparivano, alte grosse, dritte, rotonde, di un colore che sembravano biondo. Ne ho contate una trentina, ma come si fa [a contarle] che ci si vedeva appena? Andavano verso piazza Ghiaia recitando un Miserere e quando sono arrivate (questa è bella!) dove c’era il vecchio macello, osservando bene quelle ombre benevole, ho capito che erano le colonne della nostra antica piazza Ghiaia, tanto amica delle massaie, che un ordine molto barocco ha tutte cacciato in un angolo. Allora sono stato attento a quello che succedeva in quel momento. Nel silenzio di tomba di un consesso tanto spettrale, un urla (non sono mica bugie): “Risorgi, risorgi grandi Bettoli!”, e immediatamente – è proprio vero – ho visto la terra aprirsi e dal buco, come un folletto, è apparso l’architetto, che di fronte a tale riunione, ha iniziato questo discorso: “Vi saluto oh mie colonne, che siete sempre state valide e sempre orgogliose, perché costruite col buon senso; di voi, non l’ho mai nascosto, sono stato sempre fiero. Hanno ridotto la nostra piazza Ghiaia in modo tale da non essere più bella. Ora mi sembra – se non sbaglio – l’impianto di uno zoo, degno del Circo Gleich o del Circo Krone, sembrano le gabbie per i leoni. E poi, era tanto faticoso tracciare una riga in terra? O mancava forse il gesso? Che hanno messo tutto storto. Ma guardate, fate attenzione: non è mica vero che è di stravento? [ci piove sotto] E in fondo all’ultima gabbia sono tutti verdi di rabbia, perché a dire la verità, gli ride dietro tutta la città”. A quel punto, l’architetto ha soffiato in un fischietto e insieme al suo seguito è sparito tornando sotto terra).

Piazza Ghiaia a Parma (col colonnato progettato da Nicola Bettoli nel 1838, demolito nel 1928),
dipinto di Giuseppe Carmignani, 1930, Palazzo della Pilotta
Piazza Ghiaia a Parma (col colonnato progettato da Nicola Bettoli nel 1838, demolito nel 1928),
dipinto di Giuseppe Carmignani, 1930, Palazzo della Pilotta

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Succede il 8 di dicembre:

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