
8.11.1322. Una gabbia per gli uomini da odiare
8 novembre 1322 – Sulla Platea Communis a Parma (piazza Garibaldi) si svolge una delle scene iconiche del Medioevo: due persone alla gogna. Non due qualunque, ma un ex governatore della città e un abate benedettino.
Così descrive la scena lo storico Ireneo Affò:
“Costrutta quindi presso il torricino del Comune riguardante la Piazza una ferrata gabbia di travi, ambidue vi furono esposti alla pubblica vista, miseri bersagli delle fischiate e della popolare impudenza“.
La gogna è una pena prevista per chi è in odio alla popolazione, una forma di umiliazione pubblica per chi la subisce ed un’occasione di sfogo per tutti gli altri, che possono prendere a male parole e gettare frutta marcia, feci e sassi contro il condannato. È anche un modo per fomentare il popolo, che viene indotto da chi infligge la punizione a identificare il malcapitato con il nemico.
In questo caso, alla gogna ci sono Gianquirico Sanvitale e l’abate di San Giovanni Anselmo da Marano. A volerli lì nelle vesti di peggiori criminali è Rolando Rossi.
Gianquirico è il maggior esponente della famiglia Sanvitale, che ha aiutato la parte guelfa a riprendere il controllo di Parma, con una rivolta popolare il 25 luglio 1316. Per un po’ i Sanvitale hanno governato la città assieme ai Rossi, i leader guelfi. Ma in questo 1322, i Rossi hanno deciso che non ci si può più fidare dei Sanvitale, così hanno ordito un complotto per eliminare l’alleato.
Il 19 settembre vengono invasi i feudi di Sala, Fontanellato e Scipione, le roccaforti dei Sanvitale, mentre in città un gran numero di uomini armati assalta le case di Gianquirico, presso San Michele del canale (oggi chiesa di S. Lucia). Pur difeso da 400 uomini, il quartiere dei Sanvitale è presto in mano ai Rossi. Gianquirico scappa e viene accolto con pochi fedelissimi nel convento dei frati Minori, San Francesco del Prato. Il giorno dopo, però, alcune guardie vengono ad ispezionare il monastero e catturano il fuggitivo, che si è travestito da frate.
Durante questi tumulti, viene arrestato anche l’abate di San Giovanni, che da sempre si interessa più di politica che di religione, fedele alla famiglia dei Correggio, altri rivali dei Rossi e parenti di Gianquirico.
Così arriviamo all’8 novembre, quando il Sanvitale viene esposto al pubblico ludibrio assieme all’abate.
La gogna dura un giorno, poi i due condannati vengono riportati in cella, alla “Camusina”, il carcere costruito dietro il palazzo del Comune.
Antonia, moglie di Gianquirico, nonostante sia incinta sale in sella ad un cavallo e – seguita da molti cavalieri – cavalca fino a Piacenza, dove spera di convincere il rappresentante del papa, il cardinale Bertrando del Poggetto, a perorare la liberazione del marito. Ma il tentativo è inutile: Gianquirico resterà in carcere fino al 1326 e poi in esilio fino al 1344.
Poté tornare a Parma da uomo libero solo un anno prima di morire, a quasi 70 anni di età.
L’abate Anselmo, invece, un anno dopo quel giorno alla gogna, subirà un processo ecclesiastico nel quale sarà accusato di essere un omicida, un incendiario, un dissoluto, un simoniaco, un effeminato, di aver corrotto la vita dei monaci di San Giovanni evangelista e rovinato economicamente il monastero. L’esito del procedimento non è noto, ma l’abate dovette cavarsela in qualche modo, perché pur perdendo il suo ruolo in San Giovanni, 15 anni dopo sta ancora a Parma e viene esiliato a Verona.



2 Comments
Andrea Mondini
La frase che inizia con La gogna è una pena prevista è rioetuta 2 volte.
igiornidiparma
Grazie della segnalazione! Il post è stato corretto.