
7.5.1928. Pirandello al Reinach. Poi a bere con Zavattini
7 maggio 1928 – Luigi Pirandello saluta Parma. È in città da sette giorni, con la sua Compagnia Teatro d’Arte di Roma. Ogni sera, da martedì a lunedì, al Teatro Reinach ha messo in scena una diversa opera, quasi tutte sue. Sul palco, gli attori principali sono sempre Lamberto Picasso e soprattutto Marta Abba, musa ispiratrice di Pirandello.
Il grande commediografo e novellista, nel 1925 ha fondato una propria compagnia, con sede in un teatro romano appositamente costruito. Vorrebbe che i suoi attori godessero di buoni compensi, ma gli incassi non sono un granché. Così, da un po’ ha lasciato la capitale per portare i suoi copioni in giro per l’Italia. Un tour che contempla anche una settimana di spettacoli a Parma.
Gli allestimenti sono, nell’ordine: La ragione degli altri; Come prima, meglio di prima; Le vergini (di Marco Praga); Diana e la Tuda; La bambola francese; Scrollina (di Achille Torelli). Forse, Pirandello, al pubblico di Parma vorrebbe anche recitare qualche poesia: durante il suo soggiorno in città, invia un telegramma al suo editore chiedendogli di spedirgli immediatamente “per espresso” copia della sua raccolta Fuori di chiave; ma il volumetto non arriva in tempo.
Ogni sera il maestro si mostra al pubblico, chiamato dagli applausi, a volte anche fra un atto e l’altro. Gli spettatori applaudono sempre, spettacoli ed attori. Però sono pochi. Chi va a teatro, vorrebbe sempre delle novità, invece gli allestimenti di Pirandello risalgono tutti ad alcuni anni prima.
Erano già venuti una volta, Pirandello e i suoi interpreti, al Teatro Reinach, nel dicembre 1925, anche allora per sette rappresentazioni. Lì, la compagnia era agli esordi, sospinta da speranze ed ambizioni. In questo 1928, il clima è molto diverso.
Ai giornalisti parmigiani, Pirandello annuncia che così non si può andare avanti: presto dovrà sciogliere la compagnia. Dopo Parma, lo aspettano a Padova e poi a Venezia. Ma una volta rientrato a Roma, a metà agosto, davvero lo scrittore chiude la sua impresa.
La settimana Parmigiana di Pirandello la ricorda bene Cesare Zavattini:
“Lo andammo a prendere dopo lo spettacolo sul palcoscenico nero, Ugo Betti, Gino Saviotti e io. Non c’era più nessuno fuorché Marta Abba ancora intenta a struccarsi e Pirandello mezzo in luce mezzo in ombra appoggiato all’uscio del camerino dell’attrice, guardava per terra e si accorse di noi quando gli fummo a un passo”.
“Pirandello trascorreva con noi le sue ore parmensi. Lo giudicavo simbolo della gloria, era tutto invidiabile, anche nell’abito, esclusa la sua urbanità con cui rispondeva alle domande del prossimo, nel senso che immaginavo i grandi molto più scontrosi. Si accendeva nel parlare di D’Annunzio che non gli andava a genio: anche questo mi piacque, ricordando mio padre il quale si alzava tardissimo al mattino e trascurava gli affari della sua trattoria per leggere di notte i romanzi di Gabriele”.
Zavattini scrive una recensione negativa di Diana e Tuda.
“Le più tristi persone dal punto di vista dello spirito viventi a Parma, si congratulavano meco, avevo interpretato l’opinione dei benpensanti, la provincia impartiva una lezione alla metropoli. E cominciai dopo questi elogi a sentirmi solo e derelitto: calava la sera e dentro al Caffè Centrale c’era Pirandello circondato dagli altri miei amici, discorrevano tranquillamente e io non potevo entrare perché Pirandello si era indignato per il modo approssimativo di quella nota. Vedevo il gruppo attraverso i vetri, vi si erano aggiunti alcuni giovanotti che da parecchio studiavano il modo di accodarsi a noi; come erano felici. Camminavo su e giù per via Cavour atterrito e deciso a lodare in seguito a destra e a sinistra pur di garantirmi il godimento dell’affabile vicinanza dei personaggi di passaggio da Parma”.

(Biblioteca Museo Teatrale SIAE, Roma)
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Succede il 7 di maggio:

