7.3.1764. L’erudito più ignorante del secolo
7 marzo 1764 – Muore il parmigiano Antonio Ottavio Bajardi, l’erudito più ignorante del secolo.
Il Dizionario storico del 1791 lo saluta così: “L’autore è finalmente morto insieme coll’opera“. Per lo storico dell’arte Johann Winckelmann, Bajardi è “una stupidissima bestia“. Il filologo Domenico Comparetti e l’archeologo Giulio De Petra lo definiscono “il piú insulso e ridicolo uomo che abbia mai lasciato memoria di sé negli atti della scienza“. Per lo scrittore Jean-Jacques Barthélemy “portava nella testa un’enorme, informe massa di conoscenze che sfuggiva confusa“. Secondo il letterato Francesco Antonio Zaccaria ha lasciato “sciempiata opera … disdicevol cosa“. Nel 1811, l’umanista Giovanni Andrés dirà che “di lui si parla ancora ridendo“.
Chi è Ottavio Bajardi? E cosa ha fatto di così grave da meritarsi tanti insulti? Bajardi ha avuto per le mani una delle più grandi scoperte del secolo, e non ha saputo farci nulla. Ha avuto l’esclusiva sui rinvenimenti di Ercolano e mentre tutta Europa aspettava di sentirsi da lui raccontare lo spettacolo del passato che magicamente riemerge, nulla ha offerto se non l’esibizione della propria vanagloriosa erudizione.
Bajardi nasce fortunato. Nel 1694, suo padrino di battesimo è niente meno che il principe Francesco Farnese, lì lì per diventare duca di Parma, e i duchi di Parma sempre lo appoggeranno. La sua famiglia è ricca, gli permette di dedicarsi a ciò che vuole. Antonio Ottavio vuole studiare: studia tutto, dall’ebraico e l’arabo alla matematica e l’astronomia. A Parma prende due lauree, in Filosofia e in Giurisprudenza, nello stesso giorno!
Poi parte. Prima per Roma, per seguire una fulminante carriera ecclesiastica. Quindi per la Spagna, per ottenere l’appoggio della regina Elisabetta Farnese. Torna in Italia e segue a Napoli il nuovo duca di Parma, Carlo di Borbone.
È qui che ottiene l’eccezionale incarico che lo renderà ridicolo di fronte a tutto il mondo: Carlo lo sceglie per scrivere un’opera che sveli all’intera Europa le cose eccezionali che stanno emergendo dagli scavi archeologici attorno al Vesuvio. Gli affida alcuni collaboratori, uno stipendio elevato – 5.000 scudi annui – e tutti i mezzi che chiederà. E il Bajardi si mette a scrivere.
Antonio Ottavio è un grafomane. Quando era a Roma, aveva compilato 40 volumi che – a suo dire – avrebbero risorto ogni problema nella comprensione della storia della Chiesa. Mai pubblicati. Compone poesie in latino e canti alla Madonna (che la Congregazione dell’Indice vieta di leggere). Scrive trattati di fisica. Perfino un racconto autobiografico, nel quale guarisce dallo scorbuto grazie ad un miracolo.
Quale miglior occasione della descrizione dei ritrovamenti a Ercolano, per una persona così! Ma invece che assolvere al compito, il nostro inizia a redigere una minuziosa storia della vita di Ercole, prevista in sette tomi, per il solo motivo che a quel mitico eroe si deve il nome di Ercolano. Dopo 2.119 pagine, pubblicate in cinque anni, Ercole è arrivato solo al 24° anno di età… e degli scavi archeologici neppure una parola.
A sua discolpa si può solo dire che il Bajardi ritiene l’entusiasmo per l’archeologia una “mania”, come scrive in una lettera al dottissimo cardinale Angelo Querini, che vale ben meno della conoscenza della storia attraverso i libri.
Ma Carlo di Borbone perde la pazienza. Spinto da tutti gli intellettuali napoletani, furiosi contro Bajardi, ma anche da commenti che arrivano dall’intero continente, dove l’erudito lo sta rendendo ridicolo, il duca fonda l’Accademia ercolanese, perché finalmente si passi a qualcosa di concreti, si inizi a descrivere quanto emerso ad Ercolano. Bajardi è a capo dell’Accademia, ma capisce che è un modo elegante per esautorarlo. Abbandona la biografia di Ercole. Pubblica un nuovo libro dove presenta alcune monete, epigrafi e statue ritrovate negli scavi, ma senza riuscire a inquadrarne storicamente neppure una. Poi lascia Napoli e il prestigioso incarico.
Gli ultimi anni li trascorre a Roma, dove ottiene il comodo incarico di vescovo di un’arcidiocesi che non esiste più dal 1294, quella di Tiro. Ma non rinuncia alle sue eccentriche composizioni. L’ultima, che alla morte stava quasi per completare, è una storia universale in 12 volumi, il Breviarium temporum, nella quale indica il punto esatto, sulla terra, in cui stava Dio nel momento in cui creò il sole. L’opera è perduta.