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7.2.1520. Il primo martire in India

7 febbraio 1520 – Nasce a Sottargine di Sissa Antonio Criminali, che non avrà una vita lunga. Sarà ucciso su una spiaggia in India 29 anni più tardi, primo martire della Compagnia di Gesù.

Da ragazzo, Antonio studia a Parma e incontra Pietro Favre, un caro amico di Ignazio di Loyola, mandato qui dal papa per studiare il modo di rendere più governabile la città e il clero locale. Favre ha un grande seguito e diversi giovani vogliono entrare nel nuovo ordine religioso che il di Loyola sta organizzando. Antonio è uno di loro. Parte per Roma – il primo dei molti sui viaggi – proprio per incontrarlo e chiedergli di prenderlo con sé.
Entrato nei gesuiti, viene mandato a studiare in Portogallo e dopo tre anni di noviziato, nel 1544, è pronto per diventare missionario. La sua destinazione è Goa, dove aiuterà aiuterà Francesco Saverio. Favre, di Loyola e Francesco Saverio sono oggi riconosciuti santi dalla Chiesa cattolica.

La nave di Criminali salpa da Lisbona, ma il maltempo le impedisce di prendere il largo. Il viaggio è rinviato all’anno dopo. Il 29 marzo 1545, finalmente l’avventura inizia, a bordo di una delle sei navi che accompagnano João de Castro, nuovo governatore dell’India portoghese. La piccola flotta circumnaviga l’intera Africa, taglia l’oceano Indiano ed approda a Goa il 2 settembre.

In India, Criminali è inizialmente impiegato in funzioni umili: portinaio e custode di collegio. Ma ben presto assume incarichi più importanti, prima docente, poi predicatore nell’India sudorientale e alla fine responsabile della missione di Capo Comorino (oggi Kanyakumari, l’estrema punta meridionale della penisola indiana). Lungo tutta la costa, Criminali fa costruire una chiesa ogni 50 chilometri e battezza quante più persone possibile. Ad avvicinarsi al cristianesimo è soprattutto la povera gente: schiavi che sperano di poterne guadagnare la libertà o lavoratori minacciati da incursioni dei musulmani dell’interno.

A differenza di altri missionari arrivati poco più tardi, Criminali vorrebbe far piazza pulita di tutto ciò che sa di politeismo o idolatria, ordinando di demolire templi e statue.

Capita così che a fine maggio 1549, quando scoppia una rivolta contro un gruppo di soldati portoghesi particolarmente rapaci, ci va di mezzo anche Criminali. I locali assaltano la missione di Punnaikayel armati di scimitarre. Antonio non pensa a fuggire. Aiuta altri a salire sulle barche per mettersi in salvo al largo, ma lui si rifiuta di seguirli. Si mette in ginocchio sulla sabbia e attende gli aggressori. Ferito, è trascinato all’interno di una capanna, dove viene decapitato. La sua testa resterà esposta in un tempio indù che non era ancora riuscito a far demolire, infissa in un palo.

La notizia della morte violenta di Antonio Criminali giunge presto in Italia. Nel parmense e in particolare a Sissa l’uomo diventa subito santo. Anche fra i gesuiti tutti lo considerano un martire, il primo della Compagnia. Tuttavia, la Chiesa non riconoscerà mai quella morte come martirio, poiché il parmense non è stato ammazzato in sfregio alla fede, ma perché visto come rappresentante di una potenza straniera. I metodi di evangelizzazione dei gesuiti cambieranno radicalmente.

Padre Antonio Criminali con la palma del martirio in un’incisione del 1608

Padre Antonio Criminali in un dipinto di Antonio Moro del 1549

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