Cultura & Società,  Età contemporanea

7.11.1844. La tenebrosa Parma di Charles Dickens

7 novembre 1844 – Charles Dickens visita Parma, e non gli piace. Il celebre scrittore inglese ha deciso di impegnarsi nel tipico Grand Tour nella penisola, partendo da Genova, dove soggiorna a lungo. Poi viene in Emilia, sostando in diverse città, osservando i principali monumenti ed annotando le proprie impressioni, che invia a Londra perché siano pubblicate sul Daily News e più tardi ne ricava un libro, Impressioni italiane. Impressioni negative, perché – Venezia a parte – le città italiane gli paiono una più decadente dell’altra.

Avvicinandosi a Parma in carrozza, Dickens apprezza le campagne, soprattutto i vigneti: “Il fogliame delle viti sfoggia delle tinte dorate e rosso cupo, e l’aspetto che questo, tutt’insieme, presenta all’occhio, è di una bellezza e di una grazia incantevoli”.

Anche entrato nelle mura, il romanziere ha sensazioni migliori che in altre città: “Parma ha delle vie gaie, animate”. Ma quando arriva in centro i giudizi del suo libro cambiano decisamente di tono.

Attorno a piazza Duomo vede solo “vetusti edifizi di un bruno severo, ornati con un gran numero di mostri grotteschi”. Le vie sarebbero deserte e mute, non fosse per lo “stridio dei molti uccelletti, svolazzanti dentro e fuori dei crepacci delle pietre”. Un quadro spettrale.

Non va meglio entrando negli edifici storici. In cattedrale, Dickens osserva “pitture guaste e cadenti”, sente “l’odore dell’umido e della muffa che corrodono i freschi di Correggio”, con “un effetto lugubre e rattristate”. Poco male, tanto quei dipinti sono brutti: le figure sulla cupola “presentano un tal labirinto di gambe e di braccia, e tali rammucchiamenti di membra contratte e rimescolate e ravviluppate insieme, che neanche un chirurgo, diventato matto, potrebbe immaginarne di simili”.

Non va meglio nella cripta, dove, dietro ogni colonna, “sta in agguato, così pare, almeno un mendicate”, e altri sono nelle cappelle laterali; quei poveracci che chiedono la carità, a Dickens ricordano “frotte di fantasmi, uomini e donne, che trascinano a sbalzelloni altri uomini e altre donne dalle membra contorte e intorcigliate”.

Il visitatore britannico si sposta in Pilotta. Accenna alla Galleria d’arte dove alcuni pittori sono intenti a copiare le tele esposte. Poi riprendono le critiche.

C’è anche il palazzo Farnese, nel quale si può vedere il più squallido spettacolo di rovina e decadenza che si sia mai dato: voglio dire, un grande, vecchio e tetro teatro, il quale va di giorno in giorno ammuffandosi e sfasciandosi. […] Solo i vermi potrebbero abituarsi alla desolazione che è entrata e regna in questo teatro. […] Se i folletti recitassero, verrebbero di certo a far le loro rappresentazioni sul palcoscenico di questo teatro Farnese”.

Decisamente, a Dickens Parma non è piaciuta. E allora è meglio ripartire, per Modena, dove si ferma il giorno dopo. Per riprendere la querimonia.

Charles Dickens, fotografia di Herbert Watkins del 1858.
Charles Dickens, fotografia di Herbert Watkins del 1858.

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