7.1.1869. La rivolta per il pane e i cannoni di Cadorna
7 gennaio 1869 – Il generale Raffaello Cadorna occupa Parma con l’esercito. Il militare è famoso per aver sedato una rivolta a Napoli, due anni prima, bombardando la città e facendo circa mille morti.
il 5 gennaio, il re Vittorio Emanuele ha proclamato lo stato d’assedio per tutta l’Emilia occidentale, per fermare la rivolta dei contadini in corso da qualche giorno. Forconi alla mano, la gente delle campagne pretende la cancellazione della nuova tassa sul macinato: due lire per ogni quintale di grano portato al mulino, un lira per mais e segale, 1,20 per l’avena, 50 centesimi per castagne e legumi.
Cadorna fissa a Parma il suo stato maggiore, perché proprio qui la situazione è più accesa.
Le prime proteste sono state a Collecchio il 27 dicembre. Ne è seguito uno scontro a Felino dove i carabinieri feriscono a morte due persone. I tumulti veri e propri scoppiano il 1° gennaio, quando la tassa entra in vigore. Per cinque giorni, in tutti i Comuni della Bassa e sulle colline, i contadini assaltano i Municipi, costringendo le autorità a firmare esenzioni.
Migliaia di dimostranti si riversano in città. I rivoltosi si appropriano delle armi della guardia nazionale. Barricate per impedire le cariche di cavalleria sono erette usando i banchi delle chiese a metà di corso San Michele (strada della Repubblica), strada Santa Croce (via D’Azeglio), strada San Francesco (via Bixio), borgo dell’Asse e borgo delle Colonne. Muore un altro contadino a Sala e due a Borgo S. Donnino. I contadini si muovono seguendo le campane, suonate a stormo.
Gli arresti sono decine; vanno in carcere anche quelli che sui campanili suonano le campane, e il gerente e i tre direttori del giornale Il Presente, che sostiene la protesta. Ma i numeri della rivolta sono tali da soverchiare quelli delle forze dell’ordine. Il prefetto Verga – che proprio in questo 1869 sarà messo a riposo –, ha chiesto aiuti già da fine dicembre; vorrebbe soldati e anche mugnai. Arrivano solo i primi, ma all’inizio sono ancora troppo pochi.
Il giorno 3, duemila contadini cercarono di entrare in città da porta Santa Croce. Per fermarli vengono chiamati a Parma tutti i militari di stanza a Borgo San Donnino. Ma anche là arrivano frotte di agricoltori furiosi, che devastano l’ufficio del prefetto. Il giorno dopo il copione si ripete.
È a questo punto che Torino invia Cadorna.
Il proclama col quale si fa annunciate, viene bruciato dai contadini sotto i Portici del Grano. Ma il generale ha ben altri mezzi. Le autorità parmensi avevano cercato di mediare con i contadini, comprendendo le difficoltà oggettive di questa povera gente a pagare la nuova tassa. Cadorna è inflessibile. Arresta e minaccia. Schiera soldati a cavallo in tutti i centri, nelle piazze e accanto ai mulini. E si spara. Perfino cancella gli accordi con i proprietari terrieri che si dovevano accollare quote delle tasse. Nella relazione di Cadorna del 18 gennaio (lascerà Parma il 19), il generale accusa di “debolezza” i governanti locali e ritiene che il sistema di riscossione della tassa sia troppo “mite”; annota anche che nei suoi dieci giorni in Emilia: “non si ebbero che 21 morti e 35 feriti fra i borghesi e 18 feriti dalla parte della truppa”.
I contadini non possono che abbassare il capo.
L’ultima fase della protesta si consuma a Borgotaro. In Appennino la protesta scoppia solo il 12, perché Verga aveva rinviato l’entrata in vigore della tassa in montagna. Gli armati di Cadorna mettono fine a tutto entro la metà del mese.
Non sono passati neppure dieci anni dall’ultimo plebiscito che aveva sancito l’adesione del parmense al nuovo Regno dei Savoia, una decisione sospinta da tanti sogni di libertà e giustizia. La tassa sul macinato ha svelato la verità su cosa sia l’Italia. Perfino il prefetto Verga riconosce che fra le cause ultime della rivolta ci sono le “deluse speranze”.