
6.9.1840. Giuseppe Verdi vuole abbandonare la musica
6 settembre 1840 – Giuseppe Verdi decide di non comporre più nulla. Abbandona la musica. Non vuole più saperne di libretti e di arie. Leggendo le stroncature sui giornali di Milano, sentendo dal suo impresario che dopo la prima sono state cancellate tutte le repliche della sua nuova opera, promette a sé stesso che non scriverà più neppure una nota.
Cosa è successo? La sera prima, alla Scala, Un giorno di regno è stato un fiasco completo. Dopo una sola esecuzione, le previste cinque recite sono eliminate dal cartellone.
Così legge Verdi su un giornale di questo 6 settembre 1840:
“Ebbe l’altra sera severo ammonimento dagli Spettatori del nostro grande Teatro. La sua nuova Opera buffa fu accolta ben diversamente da quello che lo fu la sua prima; il Pubblico o stette silenzioso, o condannò il giudicio di coloro che credevano opportuni gli applausi”.
Un Giorno di Regno è un’opera comica scritta nel momento più tragico della vita del maestro. Il critico del giornale consiglia Verdi di tornare al genere drammatico, evitando “forme invecchiate, rancide frasi, motivi troppo ligi ad una fredda e servile imitazione”; la musica richiama da vicino Rossini e Bellini. Ancor più severo è con i cantanti, rei di aver eseguito le parti in modo poco regolare e fatto prevalere reciproche rivalità sulla professionalità dovuta agli spettatori, una “colpevole ignoranza del proprio dovere” fino al punto di “cessare di cantare, o il muovere soltanto le labbra nei pezzi concertati”.Verdi, famoso da solo un anno grazie all’Oberto, ha accettato di musicare un vecchio libretto che gli ha proposto Felice Romani per coprire un buco nel calendario della Scala, che mancava di opere comiche. E anche per sbarcare il lunario. Vive a Milano con mogli e figli, ma a volte fatica a pagare l’affitto, tanto da dover impegnare le gioie di famiglia.
Famiglia che perde nel modo peggiore. La figlia si ammala nell’aprile 1838 e muore il 12 agosto, il fratellino la segue il 22 ottobre 1839. Il 18 giugno 1840, colpita da encefalite, se ne va anche la giovane moglie Margherita Barezzi. Il dolore patito non può non aver influito sul modo di lavorare del compositore.
“Tre persone a me care erano sparite per sempre: la mia famiglia era distrutta! In mezzo a queste angosce terribili per non mancare all’impegno assunto, dovetti scrivere e condurre a termine un’opera buffa! Un giorno di regno non piacque: vi ebbe di certo una parte di colpa la musica, ma una parte vi ebbe l’esecuzione. Coll’animo straziato dalle sventure domestiche, esacerbato dall’insuccesso del mio lavoro, mi persuasi che dall’arte avrei invano aspettato consolazioni, e decisi di comporre mai più!“. Così, in una conversazione con l’amico Giulio Ricordi, Verdi stesso racconta questo momento.
Come si può vivere, dopo aver perso figli e moglie? Nel ricordo. E difatti, ciò che riporterà Giuseppe Verdi a creare sarà la lettura del testo di Va’ pensiero, versi che trasformerà nella celeberrima aria del Nabucco, l’opera del riscatto due anni dopo. Leggendo quel libretto, mette da parte i suoi propositi di lasciare la composizione, e non ci penserà mai più.
In realtà, pure Un giorno di regno è stato riscattato. Con un titolo diverso (Il finto Stanislao) e soprattutto con un diverso cast, verrà riproposto a Venezia nel 1845, riscuotendo ben altri giudizi.


