
6.3.1910. Parma la città celeste di D’Annunzio
6 marzo 1910 – Per la prima volta, Gabriele D’Annunzio viene a Parma per esibirsi al Teatro Reinach. Vuole parlare del volo e cerca nelle bellezze della città qualcosa che esalti la bellezza del cielo, ad evocarne la nostalgia: per far capire ai parmigiani quanto sarebbe bello poter salire lassù, su, su, parla loro della cattedrale di Santa Maria.
Il vate, che fra una settimana compirà 47 anni, legge un discorso che si intitola: “Per il dominio dei cieli”. Non vola mai basso, D’Annunzio.
Prima parla dell’invenzione dell’aeroplano; non tanto dei fratelli Wright, bensì di Clément Ader, che voleva fare velivoli con motore a vapore, che non hanno mai volato, ma è francese e a D’Annunzio i francesi piacciono. Poi di alcuni pionieri dell’aria. Ricorda il bolognese Aristide Faccioli, inventore del primo triplano italiano. Si compiace dei successi del milanese Enrico Forlanini, ideatore dell’aliscafo.
Regge il discorso sulla corda aulica, con espressioni come “nave aerea”, o “effondere il sangue” se cita avieri mortalmente precipitati.
Il pubblico applaude e sorride. Ma i cappelli iniziano a sventolare quando il poeta prende a parlare di Parma, della città raccolta al Reinach per ascoltarlo.
Parma “nata dalle paludi, risanata di consoli di Roma. Distrutta e ricostrutta sotto la procella barbara. Rafforzata e abbellita nella tregua gotica animata dall’eroico soffio della libertà comunale. Traversante i secoli in una vicenda di splendori e di sciagure dopo la morte della repubblica. Sino al mirabile fiorire dei suoi commerci, dei suoi costumi, delle sue arti, sotto i suoi principi magnifici”.
A Parma, il desiderio di volare D’Annunzio lo vede nella statua dell’Angiol d’or in cima al campanile del duomo:
Parma “non sembra tendere in tutta la sua storia, con tutte le sue forze ideali, dall’umile sua origine palustre, a quella meraviglia d’aerea bellezza che spazia e splende nella sommità della sua basilica?”.
Tutto il duomo piace a D’Annunzio e pure gli affreschi del Correggio diventano un gloria alla conquista del cielo:
“Su per le strutture romane, per le volte lombarde, per gli archi gotici, tutta la compagine civica non sembra tendere con l’impeto di una idealità invitta alla gloria dell’Assunzione? Il suo divino artefice non ha già rappresentato sull’apice stesso del suo cielo, di là dal limite della cupola, con la potenza d’una pittura che è una musica muta, tutta l’ebrezza del volo, tutta la gioia della rinnovellata vita?”.
Un discorso così, non può finire che nell’ovazione, nei plausi da spelarsi le mani, in grida e “bravo”. La folla segue questo cantore di una Parma nei cieli fino all’Hotel Croce Bianca, e rimane ad acclamarlo fino alle 22,40, quando D’Annunzio lascia la città. Non in volo, in treno.

–
——————————
Succede il 6 di marzo:

