6.2.1454. I testamenti degli strozzini, sperando nel paradiso
6 febbraio 1454 – Cristoforo Cantelli è vecchio e malato. Gli resta giusto il tempo di far qualcosa per non arrivare impreparato di fronte ai cancelli del paradiso. Che gli dirà san Pietro? Lo farà entrare, dopo tutti quei prestiti a strozzo fatti nel corso della vita? Perfino ai monaci ha estorto denaro imponendo alti interessi nel momento del bisogno. Ma forse non è troppo tardi. Può ancora mostrarsi pentito. E per riuscirci, deve risarcire per quanto possibile i tanti sui quali ha lucrato.
Così, in questo 6 febbraio, Cristoforo detta le sue disposizioni riparatorie. Promette di donare duecento imperiali al vescovo Delfino Della Pergola perché ne benefichi i poveri di Parma. Promette che risarcirà quanti ha danneggiato per “usuraia pravità“.
L’impegno è messo nero su bianco da un notaio, appositamente convocato nelle case dei Cantelli, sotto la parrocchia di San Marcellino, dove abitano tutti i rami della famiglia.
I Cantelli, delle famiglie che a fine Quattrocento hanno già un cognome, a Parma è probabilmente la più estesa. Nobili antichi, addentro alle questioni della politica e dell’amministrazione locale. Cristoforo è della parte che sta con i Rossi e probabilmente proprio grazie alla protezione di questi ha potuto gestire senza problemi i suoi affari per tutta la vita. Affari che non devono essere sempre leciti: suo padre Bartolomeo ed il fratello Ugolino, ad esempio, nel 1425 erano stati arrestati per ordine del duca di Milano, non si sa per quale accusa, poi liberati dietro versamento di una cauzione di ben 10.000 fiorini.
Ma di fronte alla morte e ai suoi misteri, non c’è protezione o ricchezza che basti, tanto più se non è frutto del lavoro. Ultimo gesto di redenzione di Cristoforo Cantelli, dopo l’elemosina e la promessa di restituzione, è una cospicua donazione al Consorzio dei vivi e dei morti, dove istituisce un legato a vantaggio di un suo discendente.
Queste ammende dell’ultimo minuto non sono rare fra gli usurai parmigiani del tardo Medioevo. Alcuni esempi. Nel 1300, anno del giubileo, Giovanni Arcili stabilisce di restituire tutti i guadagni fatti attraverso gli interessi prima di partire pellegrino per Roma. Nel 1444 Atanagio Ferrari fa voto nella mano nel suo confessore di rimborsare chiunque gli abbia pagato un interesse eccessivo e offre 100 fuorini al vescovo per i poveri in riparazione della propria “pravità usuraria”. Nel 1454, oltre al nostro Cristoforo Cantelli, pure Onofrio Cavalcabò, in punto di morte ordina di riportare ai frati minori un calice avuto in garanzia di un prestito concesso loro ad usura. Nel 1457, Carlo di Rolandino di Varano elargisce donazioni in riparazione dell’attività di usuraio di suo suocero Leonardo Gozzi.
Nella Divina Commedia, gli usurai sono seduti in una spiaggia rovente, sotto una pioggia di fiamme, con al collo il peso di una borsa per i denari dai quali non riescono a staccare lo sguardo. Questa immagine, nel Medioevo non ha impedito l’usura, ma ha almeno spaventato qualcuno che la praticava.