5.11.1939. Al pù bòn in djalètt pramzan
5 novembre 1939 – Con un mese di ritardo, le prime copie di “Bornisi”, fresche di stampa, lasciano la tipografia Rattero di Torino alla volta di Parma. La mattina del giorno successivo saranno nelle vetrine della libreria Fiaccadori. “Bornisi” (in parmigiano significa “ceneri calde” o “braci”) è il primo canzoniere in dialetto parmigiano di Renzo Pezzani. Già noto in tutta Italia per le sue liriche e i suoi racconti, Pezzani rivela per la prima volta la vena artistica che più di tutte gli guadagnerà un posto nella storia locale: lo scrittore è ricordato come il più grande poeta in vernacolo parmigiano.
Figlio di un fabbro e dell’Oltretorrente, segnato dall’esperienza in trincea nella Grande Guerra, si forma solidi principi di solidarietà e attenzione verso i deboli, espressi prima nel socialismo e poi in una salda fede cattolica. Giornalista, editore, partigiano, è intellettuale a tutto tondo, capace di sommergersi di debiti pur di favorire artisti ed edizioni.
Il suo debutto è la smilza raccolta di poesie “Ombre”, edita in poche copie nel 1920, alla quale seguono numerosi altri volumi che conquistano un pubblico sempre più ampio. Inizialmente vicino ad ispirazioni e canoni fra il crepuscolare ed il futurismo, troverà poi percorsi più personali. Scrive anche romanzi, tanti racconti e testi pedagogici per l’infanzia (fa il maestro elementare finché non viene cacciato da scuola per la sue critiche al fascismo: sospeso dal 1° febbraio 1926 senza stipendio, rassegna subito le dimissioni).
I versi in dialetto parmigiano, però, a lungo preferisce tenerli nascosti. Forse teme che non si accordino con la sua immagine di letterato. Già nel 1927 organizza una prima raccolta, “Al stizz”, ma non la stampa. A distanza di dieci anni, le sue idee sono cambiate: è pronto a rivelare la sua produzione nella parlata della città in cui è nato. A distinguere fra una lingua ed un dialetto è la presenza o meno di una produzione letteraria. In parmigiano si è iniziato a scrivere troppo tardi per parlar di lingua. Pezzani prova a rimediare.
Il libro viene presentato così: “Si parla di un capolavoro! Si dice che Parma abbia finalmente il suo grande poeta dialettale”; “Tutto il cuore di Parma è dentro questa stupenda opera di autentica poesia”.
Nell’immediato, il successo è inferiore ai titoli di Pezzani in italiano. Ma il poeta non demorde. Nel 1943 pubblica un secondo canzoniere, “Tarabacli”, e nel 1950 un terzo, “Oc Luster”.
Sì, per una volta la pubblicità ha detto il vero: Parma ha finalmente il suo grande poeta dialettale.
A Parma Pezzani ha dedicato molti versi, alcuni duri, altri affezionati. C’è pure un “Inno a Parma”, poi musicato da Ildebrando Pizzetti:
Papav’r int al forment,
un ciost’r äd beli cesi,
e du boclen de sresi,
vecia con tutt i dent;
puten’na ch’a va a scola
e inco’ la fa fogon
pärchè la senta al bon
odor dla prima viola:
Pärma in al verd di prè
na tera benedetta,
un sam äd genta s’cetta…
“Viva la me citè”!
Tera da beli donni
col fogh int j oc apiè,
modeli da madonni
che ‘l cel al s’volta indrè;
na chitara posäda
che quand agh piäz la son’na,
e quand a gh’è la lon’na,
la dventa inamoräda,
Pärma, la me citè
stravacäda int al sol,
la canta cmè ‘n lesignol:
“Viva la libärtè”!