4.1.1738. L’Arte degli Osti, corporazione in ritardo
4 gennaio 1738 – I proprietari delle principali osterie e taverne di Parma si riuniscono per fondare l’Arte degli Osti, cioè una corporazione che protegga gli interessi della categoria e pure che limiti la concorrenza.
Sono presenti gli osti del Pavone, della Croce Bianca, di San Pietro, del Capello, dei Tre Gigli, del Ginepro, della Fontana, dei Tre Re, del Sole, di Sant’Ambrogio, della Fortuna e alcuni altri. Qualcuno di questi nomi esiste ancora oggi. Tre giorni dopo, inviano al governo ducale copia dello statuto dell’Arte perché venga approvato.
La corporazione – formata decisamente tardi rispetto a tante altre nate nel Medioevo o all’inizio dell’Epoca moderna – prevede che a Parma, nel raggio di cinque miglia, “niuno possa fare osteria, se non sarà prima descritto nell’arte” e che tutti gli iscritti obbediscano “all’Anziano” (oggi diremmo “presidente”). Per entrare nella corporazione occorre abitare a Parma da almeno quattro anni. I nuovi iscritti pagheranno una somma importante, a meno che non siano figli di persone già aderenti; se nati in altre città, la somma sarà ancora più elevata.
Pur approvate, le regole a protezione degli osti parmigiano stentano ad affermarsi realmente, forse proprio perché introdotte in un tempo che non accetta più la solidarietà fra chi fa lo stesso mestiere. Quasi due anni dopo, il 19 settembre 1739, la corporazione si rivolge ancora al governo lamentando l’esistenza di diversi “osti e bettolieri” che tengono aperti i loro locali pur senza aver aderito all’arte.
All’interno dello stesso organismo, poi, ci sono litigi continui. La soluzione è di compromesso: l’arte si doterà di un consiglio ristretto per gestire le questioni interne, così da evitare litigi ad ogni raduno, ed il Ducato imporrà particolari “collette” ai tavernieri non iscritti.