31.3.1516. L’uomo che trasforma il legno in arte
31 marzo 1516 – I benedettini di San Giovanni trovano un accordo con il falegname Marcantonio Zucchi. Sì, è vero, l’intagliatore è in ritardo con la consegna. Ma sta lavorando così bene, che è giusto concedergli altro tempo e altro denaro. Zucchi è l’artista che costruisce i seggi del coro nel presbiterio della chiesa, un capolavoro di intarsio, di certo l’opera della vita per Marcantonio Zucchi.
Il coro di San Giovanni è un’impresa che richiede 25 anni di lavoro. Lo Zucchi ha presentato il disegno di progetto già nel 1512. All’abate Theofilo da Milano piace, così in quello stesso anno sottoscrivono un contratto: Marcantonio inizia l’opera l’11 gennaio 1513 e deve terminarla entro gennaio 1519.
Ma è un intervento così ampio, soprattutto così curato, che sei anni non bastano. E allora, in questo 31 marzo, ecco che i monaci riconoscono un compenso maggiore e lasciano all’artista tutto il tempo che gli serve.
E non basta ancora, perché 15 anni dopo, nell’aprile 1531, Marcantonio Zucchi muore e al coro mancano ancora gli ultimi sei scranni.
Il coro di San Giovanni è un arco di legni di noce, di rovere, di castano e di pioppo, con due ordini di stalli: 41 in quello superiore, 28 in quello inferiore. Sono ornati con volute, foglie, conchiglie e pure aragoste. Ad attirare l’attenzione sono però soprattutto i pannelli degli schienali, con disegni di strumenti musicali, spartiti, oggetti liturgici, frutta, vedute urbane e di campagna, pure strumenti scientifici, tutto ad intarsio.
Fra le immagini realizzate dall’artista artigiano, ci sono anche delle “fotografie” della Parma di inizio Cinquecento, ben diversa da quella che sarà mezzo millenio più avanti.
Con lui lavorano Matteo Fabi e il veneziano Biagio da Baiso. Hanno tutti imparato a costruire i cori – una novità che a Parma prende piede nella seconda metà del Quattrocento – osservando i lavori fatti in cattedrale e nell’Oratorio dei Rossi da Cristoforo e Bernardino Genesini e Luchino de’ Bonati.
Se 18 anni per Zucchi non sono stati sufficienti, è perché nel mentre si è impegnato anche in altre commesse. Nel 1512, Giovanna Sanvitale, badessa di San Paolo gli ha chiesto un altro coro per la chiesa di San Quintino, con 60 stalli (ne restano solo 28, a causa delle trasformazioni del 1560), lo stemma dei Sanvitale ripetuto 11 volte e una veduta forse della stessa San Quintino nelle forme di inizio Cinquecento. Ha poi realizzato alcune ancone (le cornici per i grandi quadri sugli altari) e badaloni (leggii per gli antifonari, i codici con i canti gregoriani, molto grossi, così si leggono anche a distanza). Ma in nessuno di questi ha messo l’impegno e l’arte profusi per i benedettini.
Alla fine, il coro viene terminato da Gianfrancesco e Pasquale Testa, che sul seggio centrale incidono la data di completamento: il 1538, un quarto di secolo dopo il primo colpo di pialla.