30.8.1606. Il vescovo che ha avuto due mogli
30 agosto 1606 – Può un vescovo cattolico avere una moglie? Papirio Picedi, che in questo giorno è nominato vescovo di Parma, di mogli ne ha avute ben due. Certo, prima di essere consacrato presbitero è rimasto vedovo, di entrambe.
Picedi è un uomo di Legge e un esperto diplomatico. Quando il duca di Parma Ottavio lo vede all’opera come intermediario in una complessa disputa, lo chiama al suo servizio. Resterà fedele ai Farnese per tutta la vita, come ambasciatore, economo, legale e più tardi anche come vescovo.
Tutto questo non gli impedisce di costruire e far crescere una famiglia. Sposa prima Ersilia Forlani di Piacenza, che gli dà due figlie femmine. Quando nel luglio 1578 Ersilia muore, Picedi si risposa con Maria Spinola di Genova e nasce una terza bambina.
Presto, pure Maria se ne va in cielo e Picedi decide di intraprendere la strada del sacerdozio. Rinuncia a tutti i suoi incarichi e si fa prete.
Un uomo così capace e con tante amicizie non può che far carriera anche all’interno della Chiesa. Così nel 1603 viene consacrato primo vescovo di Borgo San Donnino, elevato a Diocesi il 12 febbraio 1601. Tre anni dopo, il nuovo duca Ranuccio ottiene che sia trasferito nella sua capitale, proprio in questo 30 agosto 1606.
Anche da vescovo continua a curare la propria famiglia. La figlia Lavinia si fa suora Cappuccina. Sua sorella Marzia sposa Cesare Maria Marconi e la più piccola Costanza diventa moglie di Alfonso Fontana, due nobili piacentini.
Tutti questi sono sempre presenti alle più importanti cerimonie di cui Papirio è protagonista: quando diventa prete, quando diventa vescovo, quando si insedia sulla cattedra di Piacenza e poi su quella di Parma.
Addirittura, nel 1611 Picedi celebra il funerale della sua primogenita, Lavinia, poiché ha la disgrazia di sopravviverle. La fa seppellire nella chiesa di S. Maria Maddalena da lui stesso consacrata nel 1608.
Prima di divenire sacerdote, pur vedovo, Picedi ha dovuto chiedere al papa una particolare dispensa, non tanto perché era stato sposato, ma perché lo era stato due volte: san Paolo scrisse sia a Timoteo che a Tito che “bisogna che il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta” (1Tm 3,1). Tuttavia, il caso pur singolare di marito e vescovo non è affatto estraneo alla tradizione cattolica. Un esempio interessante per la Chiesa del XXI secolo, che periodicamente torna a mettere in discussione il celibato ecclesiastico.