Cronaca,  Età contemporanea

3.10.1910. Il conte Porcelli 7 anni in cella per errore

3 ottobre 1910 – Verso sera, presso il Tribunale di Parma, inizia il processo che deve correggere un grave errore giudiziario. Il conte Pompeo Porcelli della Palude è rimasto sette anni in cella, condannato per aver ucciso un bambino. Ma il colpevole non è lui; e finalmente tutti stanno per scoprirlo.

Il 27 agosto 1898, a Urzano di Neviano Arduini viene ucciso un ragazzetto di nome Severino Caprari. Quel giorno, il conte Porcelli è a funghi nel bosco del Cerione, con un fucile a tracolla perché non si sa mai che si incontri un fagiano o un capriolo. Si imbatte invece in Severino, che pascola le capre, e che lo prende per il naso. Il conte – che ha un caratteraccio e quando si arrabbia minaccia di prendere chiunque a fucilare – lo rimprovera aspramente, poi se ne va. Un’ora dopo Severino è morto.

Tutto il paese accusa Pompeo Porcelli. Lui si spaventa, se ne va chissà dove, resta nascosto due mesi. I carabinieri di Traversetolo lo indicano quale probabile autore del delitto. Il conte si costituisce, ma si professa innocente. Nel 1899 viene comunque condannato: hai sparato al piccolo Severino, dovrai scontare 10 anni in galera! È il colpevole perfetto: già anni addietro era stato condannato per aver ferito un uomo con un colpo di rivoltella.

Il conte dice, ripete, ribadisce, urla di non essere lui l’assassino. Ma nessuno lo ascolta. Tradotto nel carcere di Castiadas, in Sardegna, per un po’ viene dimenticato.

Le pessime condizioni igieniche del penitenziario gli causano malattie croniche. Così, dopo sette anni di reclusione, torna libero, con sconto della pena.

Torna sull’Appennino parmense e scopre che la moglie ha sperperato tutte le ricchezze in avventure galanti con altri uomini e che la figlia ha sposato un parente di quello che lui sa essere il vero omicida. Il conte Porcelli non si dà per vinto e dopo lunghe indagini usa i pochi soldi rimasti per stampare una serie di opuscoli in cui spiega la sua verità.

Lassù a Neviano in tanti iniziano a parlare. Ad ammettere. Perché che Porcelli sia innocente, è cosa ormai nota, a Neviano.

Ed ecco allora il vero omicida. Si chiama Massimo Savina, colono, arrestato una prima volta il 30 novembre 1905, scarcerato dopo nove mesi, di nuovo in cella dal 22 luglio 1909, dopo il ritrovamento dell’arma del delitto.

Come racconta Porcelli nei suoi scritti e come riconoscono i giudici in questo processo iniziato il 3 ottobre 1910, poco dopo aver discusso con il conte, il piccolo Severino incontra anche Massimo Savina, che sta sgridando il proprio figlio. Severino vuole difendere l’amico, cosa che manda in bestia Savina, che ha in mano un forcone, che si alza in aria e poi colpisce il bambino, lo trafigge. Severino muore con l’aorta recisa.

Spaventato per quello che ha fatto, il contadino intima agli altri bambini presenti di non dire a nessuno quel che hanno visto, anzi, di raccontare che è stato il conte Porcelli, che ha sparato a Severino. Spaventati dalle minacce dell’omicida, quei bambini taceranno a lungo la verità. Solo anni dopo, crescendo, si confidano con gli adulti e la storia, a Neviano, diviene di pubblico dominio.

Numerosi testimoni, parlando per lo più in dialetto, raccontano tutto questo anche ai giudici. Il forcone che ha ammazzato il bambino viene ritrovato grazie alle indicazioni di un emigrato in America, che testimonia per lettera. E una nuova autopsia sul corpo della vittima conferma che Severino non fu ferito da un’arma da fuoco, ma da tre punte.

Il processo si chiude il 12 aprile 1910, con la condanna di Massimo Savina a 8 anni di prigione. Al conte non basta e chiede la revisione della propria sentenza. A Bologna, il 9 aprile 1912 si apre dunque il procedimento richiesto e il 22 maggio anche i giudici felsinei riconoscono l’innocenza di Porcelli.

Il caso trova attenzione sulla stampa di tutta Italia e se ne parla anche in Parlamento. Il deputato parmigiano Giuseppe Micheli chiede una legge per il rimborso delle vittime di errori giudiziari, ma ancora per diversi decenni, in Italia non ci sarà nulla del genere. Ridotto alla fame, il conte Porcelli vivrà di elemosine i suoi ultimi anni, appositamente raccolte attraverso sottoscrizioni pubbliche dopo il riconoscimento della sua innocenza.

L'aula d'assise del Tribunale di Parma
L’aula d’assise del Tribunale di Parma

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Succede il 3 di ottobre:

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