29.5.1829. Le avventure di Giuseppe Bocchi e l’ostensorio con 3.000 gemme
29 maggio 1829 – In una sentenza del Tribunale di Genova emessa in questo giorno sono raccontate le eccezionali avventure di un parmigiano in Sud America, una vita da romanzo di Gabriel García Márquez, una storia di viaggi, di lotta, di sogni, di battaglie e di follia.
Il protagonista di questo racconto si chiama Giuseppe Bocchi, figlio dell’orafo Paolo, che ha la bottega a Parma in borgo del Vescovo (poi Guazzo). Anche Giuseppe – classe 1780 – apprende l’arte di fondere e cesellare il metallo e ricco di queste conoscenze, ancora ragazzo si trasferisce a Madrid per perfezionarsi. A 24 anni si imbarca per l’America, in compagnia dei fratello Abdon.
Arriva a Buenos Aires e il suo nome diventa José Boqui. Qui impianta un proprio laboratorio: è così bravo che lo storico Guillermo Furlong Cardiff, un gesuita, lo definisce il miglior orafo della città. Ma non si limita a forgiare l’oro; fa esperimenti di fisica e studia l’elettricità. Trova anche moglie, la creola Ursula Gutierrez, e hanno tre figli: Josefa Felipa, Manuel José Benito e Vicente Ramón Celestino. Giuseppe Bocchi potrebbe già essersi sistemato per la vita, ma arriva la guerra.
Nel 1806 gli inglesi occupano per poco tempo la città. L’orafo si reinventa allora fonditore e prepara i cannoni per la riconquista. Sono bocche di fuoco di sua invenzione, dotate anche di sistemi di puntamento sempre progettati da lui. Grazie a quelle armi, quando l’anno dopo gli inglese tornano alla carica, sono ricacciati in mare. Un significativo contributo al governo locale, legato al nuovo impegno politico del parmigiano, entrato a far parte della massoneria.
A far cambiar vita al nostro è anche un suo grande progetto: creare il più bello e ricco ostensorio mai visto. Per riuscirci lavora ben sette anni ed impiega metalli e pietre preziose: 5 chili d’oro, 106 d’argento, rubini, smeraldi, zaffiri, topazi…: Bocchi dice di aver impiegato 3.704 pietre! Ad opera finita, però, nessuno gli offre una cifra adeguata per l’acquisto. Giuseppe si offende e nel 1810 lascia la città. Costruite grandi casse assai decorate, vi chiude l’ostensorio e con una carovana di muli lo porta fino a Lima.
Nella capitale del Perù scopre la musica, come ballerino e suonatore di clavicembalo. Frequentando le feste, entra in contatto con i movimenti indipendentisti e diventa una spia a servizio del generale San Martín, il futuro “Libertador” di Perù, Argentine e Cile.
In questo ruolo gliene capitano di belle e di brutte. Nel 1813 viene espulso dal Paese con l’accusa di terrorismo. Dal 1816 inizia ad investire nello sfruttamento di alcune miniere andine per lo più già esaurite. Nel 1821, San Martín lo nomina governatore della zecca e banca centrale di Lima. E mentre fa tutto questo, porta sempre con se le ricche custodie con dentro l’opulento ostensorio, tanto appariscente che a Lima “la custodia de Boqui” diventa un’espressione proverbiale per indicare l’ostentato ed esagerato lusso.
Mettendo a garanzia il magnifico oggetto liturgico, il parmigiano ottiene prestiti ingenti dal governo locale, che sperpera. Non gli resta che ripartire, per tornarsene a casa, in Italia, attorno al 1823. Quando sbarca ha sempre con sé le casse dell’ostensorio: il processo a Genova serve proprio a stabilire se Bocchi abbia o meno diritto a tenere l’ostensorio, pur senza aver ripagato i debiti. I giudici gli danno ragione: quando ha avuto il denaro, Lima era una colonia spagnola; ora c’è un Paese nuovo, il Perù, che nulla può pretendere.
Nonostante la sentenza favorevole, le preziose casse restano sotto sequestro, forse perché nessuno ricorda dove siano state messe. Bocchi non le rivedrà più. Le sue ripetute petizioni per avere il tesoro sono rimbalzate da un inspiegabile muro di gomma. La questione logora l’orefice ormai anziano, che perde la ragione. Muore nel 1848, forse a Parma.
Il finale è sorprendente. Diversi anni dopo, le custodie dell’ostensorio verranno ritrovate e aperte, ma dentro non c’è nulla! Bocchi non lo ha mai riportato in Europa. Probabilmente è rimasto a Lima: nella cattedrale di Trujillo è ad oggi presente un ostensorio con la firma del nostro.
Che cosa ha portato allora il parmigiano a Genova, di altrettanto prezioso? Un gran numero di oggetti di gioielleria, per lo più liturgici, sottratti in Perù. Nel suo ruolo di capo della zecca, Bocchi aveva infatti organizzato una grande mostra orafa e una volta chiusa, invece che restituire i pezzi esposti, li ha nascosti. Un furto eccezionale. E nei magazzini liguri, nei decenni di deposito, José Boqui è stato a sua volta rapinato, chissà se da uno sconosciuto ladruncolo o dalle istituzioni