29.11.1801. Se la povertà non è più una virtù
29 novembre 1801 – A Fontanellato, il conte Stefano Sanvitale apre la Scuola delle figlie della carità, una casa di educazione e di lavoro per bambine povere. Il 26 dicembre del 1805 avvierà la sua attività anche l’equivalente maschile, chiamata Scuola di Santo Stefano e poi Corpo dell’industria.
Le due scuole hanno caratteristiche peculiari molto legate al modo di pensare del tempo. Anzitutto, qui non si insegna a leggere e far di conto, ma qualche lavoro manuale: sono il prototipo delle scuole professionali. Seconda connotazione particolare è che alunne e alunni devono vivere nelle rispettive scuole, che dunque paiono dei colleghi. Terza e più specifica caratteristica: quel che fanno i ragazzini deve rendere economicamente.
Le due scuole, sono in realtà grandi laboratori artigiani, quasi delle fabbriche, pensati sì per offrire a chi vi opera l’occasione di far pratica con qualche mestiere, ma il cui primo scopo è tenere al lavoro quei piccoli che altrimenti trascorrerebbero la giornata chiedendo l’elemosina.
In Epoca moderna, i mendicanti avevano una funzione sociale positiva: permettevano ai ricchi di compiere azioni generose, donando oboli più o meno significativi.
L’illuminismo, invece, bolla il dono come pratica patriarcale tesa a tenere in soggezione chi nasce nelle classi sociali basse. Ciascuno deve dunque riuscire a svincolarsi da tale sistema, guadagnandosi da sé il pane quotidiano. Chi non ce la fa inizia ad esser visto come un’anomalia da eliminare, parassiti in un sistema sociale che si vuole emancipare dagli antichi equilibri.
Le scuole di Sanvitale servono allora a tenere i figli dei nullatenenti lontani dalle famiglie, perché imparino a lavorare invece che a domandare aiuto.
Massima espressione di questa notevole svolta culturale sulla povertà e sulla solidarietà sarà l’apertura di un Deposito di mendicità a Borgo San Donnino (Fidenza) a servizio di tutto il parmense e del piacentino, aperto il 10 gennaio 1810 all’interno del Palazzo di San Pietro, il soppresso convento degli Eremitani. È l’equivalente delle scuole del Sanvitale, ma per adulti. In una lettera del 7 aprile 1806 al governatore di Parma Jean-Andoche Junot, Napoleone aveva ordinato la creazione di “case di correzione capaci di 700 o 800 persone ove si sarebbero impiantati dei laboratori: e ciò allo scopo di distruggere la mendicità”. Il primo a proporre qualcosa del genere era stato a Parma il ministro Du Tillot a metà Settecento, ipotizzando un Albergo dei Poveri nella Cittadella o nel monastero dei Rocchettini.
In questi istituti, dai quali non è possibile uscire, non si rinchiudono persone colpevoli di crimini, ma poveri non più ammessi in quel mondo nuovo che chiamiamo Età contemporanea, dominato dalla borghesia. Al loro interno, tutti devono lavorare – tranne che quando ammalati – per pagarsi il vitto. Gli ospiti/prigionieri, o alunni/prigionieri, producono tele di canapa, manufatti in lana e indaco dal pastello, pagati la metà di quel che si dà agli operai liberi.
Nonostante questi risparmi, né le scuole di Sanvitale né il Mendicicomio raggiungeranno mai l’auspicata indipendenza economica, tanto che le prime chiusero pochi anni dopo l’apertura ed il secondo si trasformò in un cronicario attivo ancora alla metà del Novecento. Chi vi stava dentro, più che indipendenza, guadagnava nuovi tipi di sofferenze: nei primi 18 mesi di attività, il Deposito di Mendicità registrò 220 decessi su 767 ingressi.