
28.4.1945. Il parmigiano che ebbe l’oro di Mussolini e le lettere di Churchill
28 aprile 1945 – Il partigiano parmigiano Dante Gorreri entra in possesso de “l’oro di Dongo”, il tesoro che Benito Mussolini – fucilato lo stesso giorno – stava cercando di portare con sé nella fuga verso la Svizzera. Ancor più importante sarà ciò su cui Gorreri metterà le mani subito dopo, il 4 maggio: il carteggio segreto Churchill-Mussolini.
Convinto marxista; caposquadra degli Arditi del Popolo al tempo delle Barricate di Parma del ‘22; cinque anni al confino durante la dittatura fascista; nel 1942 Gorreri è eletto segretario del clandestino Partito Comunista Italiano. Nel 1943 rientra a Parma per partecipare all’organizzazione della Resistenza, ma poi va a Como e qui si ritrova il tesoro fra le mani.
Mussolini viene arrestato dai partigiani il 27 aprile 1945 mentre cerca di scappare oltre le Alpi. Viaggia accanto ad una borsa piena di assegni e sterline d’oro, nel baule ha alcune valige con lingotti, gioielli e banconote di paesi diversi e uno dei camion tedeschi della scorta porta altre valige con cartamoneta e oro, a chili, comprese fedi della raccolta per la patria del 1935 e sequestri a famiglie ebree.
Parte del tesoro viene gettata nel lago di Como, ma molto si salva e viene affidato a due partigiani del luogo, Luigi Canali e Giuseppina Tuissi, che ne stilano un inventario. Entrambi vengono uccisi pochi giorni dopo ed i corpi scompaiono per sempre. Scompare pure l’inventario.
Intanto, il tesoro è arrivato a Gorreri. E non se ne sa più nulla.
Sì, perfino il tesoro scompare.
Nel 1949, Gorreri è arrestato con l’accusa di aver ordinato la morte di Canali e Tuissi, per far sparire chi sapeva troppo dell’oro di Dongo. Resta in carcere per quattro anni, senza che il processo inizi. Poi, nel 1953, eletto deputato per il Pci e in virtù dell’immunità parlamentare, torna libero. Siederà alla Camera fino al 1972.
Nel 1957 si apre invece un processo sulla sparizione del tesoro di Mussolini. Con Gorreri, sono coinvolti altri nomi importanti, come Enrico Mattei fondatore dell’Eni e Luigi Longo, poi segretario del Partito comunista. Ma le cose vanno per le lunghe, anche a causa del suicidio di un giurato, così scadono i tempi di prescrizione e non c’è sentenza.
Gorreri, che fine abbia fatto l’oro del duce, non lo dirà mai a nessuno.
Solo nel 2002, un altro dirigente comunista, Massimo Caprara, racconterà che il parmigiano non aveva tenuto nulla per sé, ma aveva consegnato il tesoro al tesoriere del Pci, ritenendolo una preda di guerra. Quei beni, del valore di circa 3,5 milioni di euro attuali, sarebbero serviti ad acquistare la sede romana del partito in via delle Botteghe Oscure.
Ma ancor più interessante dell’oro di Dongo, è forse il carteggio Churchill-Mussolini, che sempre il parmigiano Dante Gorreri aveva avuto assieme al tesoro. Oltre ai valori, sull’automobile del caduto duce stavano infatti anche tre borse di documenti, fra le quali – pare – 31 lettere del premier britannico con relative risposte di Mussolini.
Gorreri riceve in consegna il materiale e delle lettere fa subito due copie fotografiche, selezionandole fra molti fascicoli. I testi, però, così come l’oro, restano nascosti: le avrebbero viste pochissime persone.
Nell’autunno 1945, Churchill è in vacanza proprio sul lago di Como. Perché? Secondo una ricostruzione cui non tutti credono, segue un agente segreto inglese che ha contattato Gorreri e lo convince a vendergli gli originali della corrispondenza per un bel po’ di denaro. Una delle riproduzioni viene recuperata dalla stessa spia di Londra. Mentre la copia superstite arriva niente meno che al presidente del consiglio Alcide De Gasperi, per scomparire per sempre.
Cosa c’è di tanto scottante in quelle carte? Se Mussolini le porta con sé nella fuga, un valore devono averlo. Potrebbero essere segreti da usare per ricatti. Magari offerte indicibili del premier inglese al dittatore italiano avanzate nei momenti di maggior sofferenza di Londra. Oppure, al contrario, potrebbero contenere prove di aiuti concessi all’Inghilterra da Mussolini, da mostrare per reclamare ricompense.
Churchill non ha mai nascosto di aver avuto contatti con Mussolini; lo scrive nel sua monumentale “La Seconda Guerra Mondiale”, libro che gli valse il Nobel alla Letteratura. Racconta di apporti iniziati fin dall’inizio della dittatura:
“Quand’ero Cancelliere dello Scacchiere sotto Baldwin, negli anni successivi al 1924, feci tutto quello che potevo per conservare la tradizionale amicizia fra l’Italia e l’Inghilterra. Negoziai un accordo sui debiti italiani di gran lunga più favorevole di quello con la Francia. Ricevetti calde espressioni di gratitudine dal duce e con difficoltà riuscì ad evitare la più alta onorificenza italiana. Inoltre, nel conflitto tra fascismo e bolscevismo, non c’è dubbio verso chi andassero le mie simpatie. Nelle due occasioni in cui avevo parlato con Mussolini, i nostri rapporti personali erano stati improntati alla più sciolta cordialità”.
Nel 1939: “La catastrofe polacca e degli Stati baltici mi rese ancor più ansioso di tenere l’Italia estranea al conflitto, creando fra noi ogni possibile ragione di intesa”.
Churchill pubblica pure una lettera a Mussolini del 16 maggio 1940 e relativa risposta. Ma è l’ultima o ci sono stati contatti e trattative private anche in piena guerra?
Un parmigiano lo sapeva, avendo avuto in mano tutte le carte. Ma non ha mai voluto far sapere nulla di più. Ha preferito nascondere tutto.


