28.3.1472. L’abate senza vocazione, per interesse ridà santità a S. Giovanni
28 marzo 1472 – Ugolino Rossi diventa prete. Non ha una vera vocazione, eppure, dalla sua consacrazione deriveranno importanti progressi spirituali per la città di Parma.
Ugolino è uno dei figli di Pier Maria Rossi, il condottiero che costruisce Torrechiara. Ha destinato il figlio alla carriera ecclesiastica perché possa gestire i beni di famiglia che Pier Maria ha assegnato al monastero di San Giovanni evangelista.
Ancor prima di diventare presbitero, Ugolino ne è stato nominato priore, con bolla del papa Pio II del 15 maggio 1469. Ma i monaci lo contestano. Non lo vogliono. Eleggono un altro e per Ugolino iniziano i problemi, perché come fai a governare un monastero, quando tutti i suoi abitanti ce l’hanno con te?
Problemi che diventano drammi nel 1477: San Giovanni viene dato alle fiamme nel corso di uno scontro armato fra la fazione dei Rossi e quelle alleate di Correggio, Sanvitale e Pallavicino. L’antico complesso è distrutto.
Che fa Ugolino? Meno male che c’è il papà, che ne sa una più del diavolo. Pier Maria aveva giusto giusto terminato di costruire un’altra abbazia, quella di Santa Maria della Neve a Torrechiara, ai piedi del suo castello più bello, al quale Ugolino nel 1473 aveva trasferito una fetta importante dei beni di San Giovanni. Ugolino si rifugia qui, dove è abate suo cugino Basilio Rossi. Più tardi andrà a Ravenna, in un altro convento, sempre come abate.
E cosa accade al monastero di San Giovanni? Da tempo, il nostro abate era in contatto con la congregazione di Santa Giustina di Padova, che rappresenta una di quelle periodiche riforme interne alla Chiesa, capaci di restituirle forza spirituale. A Santa Giustina, i monaci avevano ricominciato a seguire la santa regola benedettina, contro il decadimento e la cupidigia del tempo. Un impulso ispirato che poco alla volta contagia decine di altri monasteri. Anche fra i monaci di San Giovanni di Parma ce ne sono tanti che vorrebbero seguire l’esempio di Padova.
Ugolino Rossi, nel momento del disastro, lascia tutto in mano proprio a quelli di Santa Giustina. Il 2 maggio 1477 cede il monastero alla congregazione padovana, in cambio di un vitalizio. Nell’accordo rientra pure la badia di Santa Maria della Neve. Il papa Sisto IV approva nel giro di un paio di mesi. L’operazione deve avere anche una qualche valenza politica, poiché abate di Santa Giustina è Bernardo Terzi da Borgotaro e i Terzi sono storici rivali dei Rossi, ma l’aspetto è secondario. Quel che avrà più conseguenze, è l’ingresso di San Giovanni nel movimento rinnovatore del momento.
Sotto Santa Giustina (che dal ’500 si chiama Congregazione Cassinese) San Giovanni evangelista vivrà una nuova primavera. Il convento sarà ricostruito. Così anche la bella chiesa. E pure la storica spezieria. Dopo un lungo periodo di decadenza, che aveva fatto del convento un luogo di potere molto più che di religione, San Giovanni torna all’ispirazione originaria. Resterà Cassinese fino alla soppressione sotto Napoleone.