27.3.877. Appello al vescovo per aiutare Roma assediata dai saraceni
27 marzo 877 – Il papa, disperato, chiede aiuto al vescovo di Parma. I saraceni minacciano di saccheggiare Roma. I principi del meridione non lo aiutano. L’unica speranza è convincere gli eserciti Franchi a scendere in Italia. E l’unico che può convincere il re Carlomanno e l’imperatore Carlo il Calvo a venire in soccorso è proprio lui, Guibodo, da molti anni pastore della Chiesa di Parma.
Nel IX secolo, i musulmani controllano il Mediterraneo e le loro scorrerie arrivano fin dentro le basiliche di Roma. San Paolo e San Pietro sono profanate e svuotate nell’830 e ancora nell’846. All’epoca, anche il conte di Parma Adalgiso aveva partecipato alla spedizione dell’imperatore Lotario per frenare i saraceni, che per un po’ se ne sono stati buoni.
Ma ora tornano all’attacco. Nell’876 hanno depredato Velletri e si sono insediati in un porto vicino a Salerno. Roma è vicinissima. E il pontefice, Giovanni VIII, ha una gran paura. Così il papa scrive a Guibodo:
“Vi esortiamo a mobilitare chi potete, e in qualunque modo possiate, in difesa dei figli di questa santa Chiesa madre: incitateli, e spingeteli ora che la necessità stringe; non siate pigri, poiché per un disegno comune, con l’aiuto di Dio, la nazione malvagia che voi conoscete sarà eliminata dalle frontiere”.
Perché l’appello è indirizzato proprio al vescovo di Parma? Perché il miglior diplomatico presso il mondo franco è proprio lui, che è franco di famiglia e che da anni frequenta imperatori e re, come nunzio papale e come messo dell’imperatrice Engelberga.
Ma questa volta, l’azione di Guibodo non è molto efficace. Quando, a giugno, Giovanni VIII raduna a Traetto i suoi possibili alleati, ci sono solo i signori di Napoli, di Salerno, di Amalfi, di Capua e di Gaeta; tre di loro si tirano indietro subito, gli altri due poco dopo. Alla fine, il papa allestisce da solo una flotta, mettendosene personalmente a capo e riuscendo a vincere, ma solo una battaglia. Alla fine dell’anno accetta una tregua, che lo impegna a pagare agli infedeli una gran somma ogni anno in cambio della garanzia che Roma non venga toccata. Non si fida granché, così fugge in Francia.
Nell’879, Guibodo parla finalmente a Carlomanno e a suo fratello Carlo il Grosso della richiesta del papa. La risposta è appellarsi a Guido da Spoleto, che però è già impegnato nella sua guerra personale per conquistare la corona d’Italia. Solo nel 915, quando non ci saranno più né Giovanni né Guibodo, i saraceni verranno espulsi da Lazio e Campania.