26.9.1945. Brigatisti neri alla sbarra
26 settembre – Si apre il processo contro i responsabili di stragi fasciste della famigerata XXVII brigata nera “Virginio Gavazzoli”, che terminerà il 4 ottobre con otto condanne a morte.
La brigata nera parmigiana, guidata da Pino Romualdi e poi da Angelo Rognoni, nell’ultimo anno di guerra si è resa responsabile di uccisioni arbitrarie, torture, furti, angherie di ogni genere e fucilazioni per rappresaglia.
Gli imputati sono venti. Quattro di loro si sono dati alla macchia; gli altri sono agli arresti nel carcere di San Francesco.
La “Virginio Gavazzoli” è nata nell’aprile 1944, quando Mussolini ha militarizzato il partito fascista, e da subito è stata la referente a Parma di SS ed SA tedesche. Ha agito tanto in città quanto in Appennino e nella Bassa, in operazioni di guerriglia contro i partigiani e in operazioni di spionaggio. La sua sede è una porzione del palazzo dell’Università, quella su via Walter Branchi (strada Cavestro), le cui cantine sono diventate così centro di prigionia e di tortura.
I fatti oggetto del processo sono noti, perché la brigata non ha mai nascosto le sue azioni, anzi, vi ha dato sempre la massima pubblicità. E comunque sono moltissime le persone che hanno subito torti da questo gruppo violento, che assieme ad irriducibili fascisti, ha assoldato anche noti criminali.
Personaggi come Egisto Maestri, Gaetano Pattarozzi, Giuseppe Cavatorta, Silvano Melani, Vittorio Benedetti, nella memoria dei parmigiani sono legati a sevizie sfrenate.
Sono responsabili, assieme ad altri, dell’eccidio di piazza Garibaldi del 1º settembre 1944, con sette fucilazioni; di quello di Noceto del 23 marzo 1945 con due vittime; di quello di Soragna del 18 marzo 1945, con cinque morti (i fori dei proiettili sono ancora sul muro contro cui questi vennero uccisi).
Su tre degli imputati già pendono precedenti condanna a morte.
Antonino Valli e Guglielmo Ferri sono stati condannati una prima volta alla pena capitale il 3 luglio 1945 per l’assassinio di Tommaso Barbieri, Ercole Mason ed Emmo Valla il 1 febbraio 1944. I tre sono stati presi nelle loro case e lì fucilati per vendicare la morte di un fascista in un presunto attentato in città, in via Dante, che in realtà era stata l’esplosione di una bomba a mano con cui un suo commilitone stava imprudentemente giocando.
Guglielmo Ferri, invece, era commissario federale a Reggio Emilia e aveva messo insieme un gruppo di violenti e fanatici, la Banda Ferri, che per mesi ha saccheggiato, devastato ed arrestato arbitrariamente in varie zone dove operavano i partigiani, uccidendo nove persone. In particolare, Ferri è colpito da una sentenza di morte per l’eccidio di Reggiolo del settembre 1944, con quattro morti.
Il processo davanti alla Corte d’Assise di Parma dura pochi giorni e il verdetto è unanime: otto condanne a morte.
Ma nessuna di queste verrà eseguita. I condannati sono tutti salvati o dall’amnistia del 22 giugno 1946 – la famosa “amnistia Togliatti”, che per metter davvero fine alla guerra civile che ha diviso gli italiani, perdona tutti i delitti commessi dopo l’8 settembre 1943 –, oppure da revisioni dei processi. Diversi membri della XXVII Brigata Nera resteranno comunque in carcere anche per una decina d’anni. Solo Maestri muore in cella nel 1948. Romualdi, capo della banda fino al 10 novembre 1944, invece sarà eletto alla Camera per l’MSI dal 1953 al 1983, senatore l’anno seguente e parlamentare europeo fino alla morte, nel 1988.