26.5.1954. Giovannino Guareschi in carcere
26 maggio 1954 – Lo scrittore Giovannino Guareschi entra in carcere. Deve scontare 20 mesi di prigionia. Offeso da come le istituzioni lo hanno trattato, vuole trascorrere in cella l’intera pena, rifiutando di presentare non solo una richiesta di grazia, ma pure il semplice appello.
Guareschi è condannato una prima volta (in seconda istanza) per vilipendio delle istituzioni, per aver pubblicato il 18 giugno 1955 sul suo giornale Il Candido una vignetta di Carlo Manzoni con il presidente della Repubblica Luigi Einaudi accanto a grandi bottiglie di vino al posto dei corazzieri. E una seconda volta per diffamazione, per aver diffuso due lettere attribuite a Alcide De Gasperi, con le quali l’ex presidente del Consiglio, al tempo della guerra, avrebbe chiesto agli inglesi di bombardare la periferia di Roma per fomentare la rivolta della popolazione; De Gasperi ha sempre detto essere dei falsi.
Otto mesi di carcere per il vilipendio, un anno per la diffamazione. Guareschi si presenta ai cancelli del carcere di San Francesco a Parma per iniziare la detenzione. Gli effetti personali li porta nello stesso sacco con cui era andato in campo di concentramento in Germania nel 1943.
Il giorno prima, nel pomeriggio del 25, il ministro dell’Interno Mario Scelba si è presentato alla casa di Milano di Guareschi per convincerlo a fare appello. Ma lo scrittore si è fatto negare, lasciandolo aspettare inutilmente due ore in anticamera. Il governo sa di fare una brutta figura; proprio quello che Guareschi vuole in risposta a sentenze che considera liberticide. La carcerazione di Guareschi è il più noto caso di censura alla stampa della storia dell’Italia repubblicana, e già in questo 1954 fa scandalo.
Inizia la vita dietro le sbarre. Guareschi è sorvegliato stretto, ma rispettato. Ogni 15 giorni può incontrare la famiglia. Passa il tempo scrivendo e parlando con la sua coscienza. E i giorni passano lenti.
In luglio, circola voce che la moglie abbia chiesto la grazia. Lui si arrabbia tantissimo: non ha alcun motivo di domandare perdono. Eppure tutti sembrano ben disposti a darglielo. Anche De Gasperi (che muore pochi giorni dopo) dichiara di dare il suo consenso. Poi salta fuori che la richiesta viene da gente che non centra nulla col condannato e la pratica deve essere archiviata. Il presidente Einaudi ipotizza perfino un pranzo al Quirinale con Guareschi per convincerlo ad accettare una qualche forma di grazia, un incontro che non avverrà mai.
Ma se il Scelba lo vorrebbe libero, se De Gasperi lo vorrebbe libero, se Einaudi lo vorrebbe libero, perché le istituzioni hanno brigato tanto per metterlo in cella?
La domanda non ha una risposta e come tutti gli interrogativi insoluti, apre ad ogni speculazione. Tanto che ancora oggi c’è chi ipotizza che dietro alle due lettere oggetto della querela De Gasperi ci fossero interessi più grandi di tutte le persone coinvolte, che gli appelli alle bombe del leader Dc fossero veri, ma non si potesse ammetterlo, perché l’ammissione avrebbe aperto un vaso di Pandora colmo di inconfessabili relazioni fra gli anglo-americani e l’Italia negli anni del fascismo, che avrebbe coinvolto e messo in imbarazzo finanche Winston Churchill, e scosso i precari equilibri di una democrazia sorvegliata dai vincitori della guerra. Insomma, la ragion di Stato imponeva di insabbiare tutto, a costo di mettere Guareschi in galera.
Giovannino Guareschi esce dal carcere di San Francesco il 4 luglio 1955, per buona condotta, dopo 409 giorni di prigionia; trascorre altri 206 giorni in libertà vigilata, ritornando pienamente libero il 26 gennaio 1956. La sua colpa è aver scritto qualche pagina di giornale.