Luoghi perduti,  Medioevo

26.11.1160. L’eremita che fondò Ponte Taro

26 novembre 1160 – Papa Alessandro III benedice l’opera dell’eremita che ha costruito il ponte sul fiume Taro, salvando tanta gente dal rischio di affogare.

C’era una volta questo eremita, che per questioni che nessuno più ricorda, aveva fatto voto di edificare una chiesa nel modenese e di restarvi per tutta la vita. Si chiamava probabilmente maestro Lanfranco. La chiesa l’aveva costruita davvero, dedicata a Santa Maria, e qui si dedicava allo studio dei testi sacri e delle vite dei santi, offrendo un esempio che arricchiva spiritualmente molte persone. Ma poi, a motivo della guerra, era dovuto fuggire, trovando un nuovo rifugio sulle rive del Taro, all’altezza della via Claudia (che oggi chiamiamo Emilia).

Qui gli è stato concesso di abitare nell’antica chiesa dedicata a san Niccolò, dove potevano sostare tutti i viandanti. Stando accanto al fiume, si è accorto che nell’attraversare a guado o con battelli poco stabili, nelle stagioni di piena non era raro che qualcuno cadesse in acqua senza più riemergere: l’eremita sta proprio “dove molti erano soliti annegare” (“ubi solebant multi submergi”). Allora, lavorando in prima persona e raccogliendo offerte da tante persone che apprezzavano la sua scelta di vita, ha costruito un ponte. Il primo ponte dal tempo dei romani.

Ora, era successo che da Modena qualcuno aveva reclamato per l’assenza dell’eremita. La prima chiesa da questo eretta era soggetta all’abbazia di Nonantola e il priore di là pretendeva che l’eremita tornasse indietro, magari proprio per ricostruire la chiesa, demolita da qualche soldatesca. E per questo l’abate si è rivolto al papa, accusando l’eremita di non aver tenuto fede al suo voto.

Ma Alessandro III, studiato il caso, approva in pieno l’opera del sant’uomo. Chi fa più di quel che si è impegnato a fare, è da lodare, non certo da ammonire. L’anacoreta può restare sul suo fiume.

Il papa stabilisce che uno dei canonici di Nonantola dia una regola al rifugio dell’eremita a Ponte Taro (il nome del paese viene proprio dal ponte di metà XII secolo). La regola che si ritrova alcuni anni più avanti è quella dei monaci di Altopascio, votati all’ospitalità dei pellegrini, ai quali offrivano cibo, un letto, cure se ammalati e per i quali gestivano pure la cura delle strade. E in questo caso naturalmente anche del ponte. Gli eredi dell’eremita saranno chiamato Frati ospitalieri di Ponte Taro.

Attorno al 1196, questi Ospitalieri erigeranno anche un ponte sull’Enza lungo la via Emilia e entro il 1201 un terzo ponte, sempre sull’Enza, a Sorbolo.

(La vicenda dell’eremita di Ponte Taro è descritta in una bolla pontificia che indica luogo (Anagni), giorno e mese di emissione, ma non l’anno. A volte, si riferisce questo documento al 1170, ma è da escludere, perché nel novembre 1170 il papa non stava ad Anagni ma a Tuscolo, come risulta da altre bolle coeve. Era invece ad Anagni nei mesi di novembre del 1159, 1160, 1173, 1174, 1175, 1176 e 1179: l’atto va dunque riferito ad uno di questi; il primo è da escludere perché Alessandro III era stato appena eletto ed era impegnato nel confronto col rivale Vittore IV. Qui abbiamo scelto il 1160 perché già suggerito dall’archeologo bussetano don Pietro Seletti in un testo del 1843).

Parma e sulla destra Ponte Taro nella prima rappresentazione cartografica del territorio,
Archivio di Stato di Parma, 1480 ca.
La prima rappresentazione cartografica di Parma e del territorio intorno,
Archivio di Stato di Parma, 1480 ca.

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