Cultura & Società,  Età contemporanea

26.1.1918. La naia di Eugenio Montale a Parma

26 gennaio 1918 – Seduto sulla sua branda o al tavolino di un caffè del centro di Parma, Eugenio Montale, già poeta ma non ancora famoso, scrive Elegia, componimento mancato di Ossi di Seppia.

Fiori d’ombra
non visti, immaginati
frutteti imprigionati
fra due mura,
profumi tra le dita dei verzieri!
Oscura notte, crei fantasmi o adagi
tra le tue braccia un mondo?

Montale è a Parma dal 21 ottobre 1917, allievo della Scuola per ufficiali di fanteria in un corso accelerato. Ma i primi tempi sono difficili. A lungo, ha sperato di schivare la leva e la guerra, più volte rimandato alle visite mediche perché debole. Già esonerato dal portare lo zaino, a Parma l’ufficiale medico lo dispensa anche dal salto.

Il clima non deve essere dei migliori: il suo arrivo in Emilia coincide con la disastrosa battaglia di Caporetto.

Abita in uno dei tanti edifici trasformati in caserma e ogni mattina si reca a lezione nel Palazzo del Giardino per studiare soprattutto l’attacco frontale. Impara a sparare sulle rive del Taro.

Il poeta non si sente nel suo ambiente, non accetta l’organizzazione militare. Resta isolato e spende tutti soldi in biscotti e libri. Viene spesso consegnato perché troppo lento nell’eseguire i compiti assegnati.

Scrive la sorella Marianna:

Eugenio non vede l’ora che sia finito il corso, ma nello stesso tempo non si lamenta, loda tutto e tutti e dice che la fatica non è troppa, ma quello che gli urta i nervi è quell’inseguirsi di occupazioni, a suon di tromba. Quella tromba è un’ossessione per lui!”.

Lo stesso Montale, a inizio novembre racconta la nostalgia di casa e il male di vivere in caserma:

Ti scrivo dalla branda, dove giaccio semivestito. […] Io non esisto se non quando ricevo vostre nuove. Io sono un amico dell’invisibile e non faccio conto di ciò che si fa sentire e non si mostra; e non credo e non posso credere a tutto ciò che si tocca e che si vede. Son dunque proprio un antimilitare”.

Ma poi, con l’anno nuovo, proprio nei giorni in cui scrive Elegia, Eugenio scopre qualcosa di nuovo. Trova degli amici. Altri intellettuali come lui, costretti dalla guerra a indossare la divisa. Tutto cambia e cambia anche il giovane Montale.

In una lettera datata proprio 26 gennaio, ancora Marianna annota che “è cresciuto in lui, mi pare, un senso di giustizia e di fraternità che lo aiuta un poco”. Più avanti scriverà: “Ho capito che a Parma è stato lui di aiuto a qualcun altro. Ha trovato dei compagni intelligenti. Si è sentito un po’ meno speciale”. È cresciuto.

Uno di questi nuovi amici è Sergio Solmi, poi critico d’arte, che ricorda che “solevano riunirsi in una piccola latteria sperduta in una tortuosa viuzza del centro. Lì nella sua uniforme di ordinanza” incontra per la prima volta Montale, “intento ad affondare il cucchiaino in una morbida massa di panna montata”; “i nostri incontri alla latteria erano brevi e saltuari. I minuti della conversazione erano fuggivano ed erano poi le corse affannate nella nebbia, le svolte in volata nei vicoli, il picchiettio precipitoso delle scarpe chiodate sul selciato, mentre la ritirata ululava da tutte le caserme”.

Il periodo parmigiano di Montale è breve, ma fondamentale. Sempre al principio di gennaio, avrebbe la possibilità di venire riformato, con la compiacenza di un generale parente di un’amica di Marianna, ma non ne approfitta. Il 27 febbraio torna a Genova per poi andare a combattere in Trentino.

Poco più avanti ricorderà con nostalgia i giorni degli studi da ufficiale: “Appena giunto qui ho capito, come non mai prima, tutta la bellezza irripetibile, tutta la poesia delle nostre adunate serali nel caffeuccio parmense”. Parole che rispondono alla domanda di Elegia: per Montale, l’oscura notte della guerra non ha creato fantasmi ma un nuovo mondo.

Eugenio Montale in divisa militare negli anni della Prima Guerra Mondiale
Eugenio Montale in divisa militare negli anni della Prima Guerra Mondiale

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