Cronaca,  Età contemporanea

24.11.1905. Le madri omicide di 100 anni fa

24 novembre 1905 – Maria Magnani è condannata a 25 anni di reclusione per avere ucciso tutti i suoi figli, ciascuno immediatamente dopo il parto. La donna ha 43 anni e fa la contadina a Rubbiano di Solignano. Ha un amante, Pietro Varesi, ed intrattiene rapporti intimi pure con il proprio fratello Luigi. È stata accusata di aver strangolato sei o sette neonati e averli sepolti in cantina o sotto gli alberi di amarene vicino alla sua casa. Lei ammette solo due infanticidi, e si trovano i resti di tre corpi. Per l’accusa, lo ha fatto per non spendere i soldi del trasporto ad un istituto per bambini abbandonati. Alla fine alla Magnani un bambino resta: è nato in carcere il 2 aprile di questo stesso anno.

All’inizio del secolo scorso, gli infanticidi erano delitti tutt’altro che rari. Senza considerare il caso eccezionale della Magnani, nei dieci anni fra 1903 e 1912, nel parmense i giornali ne riferiscono almeno sette. Ma altri dovettero sfuggire a inquirenti e cronisti. A uccidere sono immancabilmente le madri ed il motivo è quasi sempre lo stesso: salvare l’onore, cioè non dover mostrare pubblicamente il frutto di un amore illecito, quello di un amante o anche solo di una relazione prematrimoniale.

Il 13 giugno 1903, Bernardina Gastaldi, diciannovenne nubile, contadina di Vezzano di Neviano Arduini, è condannata a quattro anni e due mesi di reclusione per l’infanticidio del figlio, strozzato il 2 gennaio dello stesso anno e seppellito accanto a un ruscello; il padre si chiama Arturo Comelli, ora emigrato in Francia. La ragazza ha provato ad accusare dell’omicidio la madre vedova.

Il 2 maggio 1907, in un canale ad Agna di Neviano Arduini un ragazzo scopre il corpo morto di un neonato. Viene arrestata Aldina Albertelli, trentenne, che confessa di aver sepolto il figlio appena nato, certamente illegittimo, poiché il marito dell’Albertelli è da tempo emigrato in Africa.

Nel febbraio 1908, Teresa Picinotti di Monte di Corniana di Calestano avvolge la figlia appena nata in una gonna e la nasconde sotto un letto, dove muore di stenti; al marito, rientrato giusto tre mesi prima dall’America, dove ha lavorato per cinque o sei anni, ha giustificato le forme della gravidanza dichiarandosi malata di idropisia.

Nello stesso mese, Elisa Ferrari di Bedonia, vedova da molti anni, strangola la figlia appena nata e ne nasconde il corpo “per salvare il suo onore”, come riporta una cronaca coeva.

Il 2 dicembre 1910, Armida Reverberi, 23 anni, che fa la domestica a Felino, uccide il figlio appena dato alla luce colpendolo alla testa. Arrestata e processata, il 19 luglio 1911 è assolta perché ha commesso il fatto “in un momento di piena incoscienza”.

Il 14 marzo 1911 è condannata ad un anno Maria Vecchi, diciottenne che abita a San Lazzaro in strada Elevata, per aver ucciso nell’autunno precedente il figlioletto di cinque giorni; il corpicino è stato ritrovato da un operaio intento a liberare il tubo del pozzo nero.

Nel maggio 1911 viene scoperta la salma di un neonato che galleggia in un involto nel canale all’altezza della Stradella di Collecchio. Di questo delitto nessuno verrà mai accusato.

Medea infanticida, Pittore d’Issione,
anfora cumana, 330 a.C. ca. (Museo del Louvre)

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