Età contemporanea,  Ritratti

23.4.1983. Nicky poetessa bambina

23 aprile 1983 – Si è spenta all’alba. La sera, nel coricarsi, ha pronunciato le ultime parole, la prima volta che le dice: “Sono stanca”. Stanca di una lotta durata tre anni, poco più di un quarto della sua esistenza. Con cosa l’ha combattuta, questa lotta? Con parole colorate, con l’armonia, la bellezza, l’amore per il creato, l’amore per la vita. Forse perché quando di qualcosa se ne ha poco, si riesce ad apprezzarlo molto di più.

Lei è Veronica Biancardi, detta Nicky, che da grande vorrebbe fare la giornalista. Nata a Parma il 27 ottobre 1969, muore in questo 23 aprile 1983, a 13 anni, all’Ospedale Maggiore. Di leucemia. Ne aveva 10 quando le è stata diagnosticata. Le cure, fra la sua città e Bologna, a volte l’hanno sfiancata, altre le hanno fatto pensare di potersi salvare. Invece no.

Tre anni nei quali Veronica cerca di fare cose normali, come andare a scuola e a danza. Ma tre anni nei quali Veronica anche scrive. Scrive poesie, vere, come nessuno dei suoi coetanei sa fare. Ad esempio:

Non aveva casa / per casa aveva il cielo e i prati.
Non aveva né padre né madre / per padre aveva il Dio e per madre la Natura.
Non aveva né amici né parenti / per amici aveva gli animali e per parenti i suoi sentimenti.
Non aveva dolore / per dolore aveva la solitudine.
Non aveva paura della morte / nel sangue gli scorreva la vita.
Nulla aveva, / la vita aveva
”.

Sono le insegnanti della scuola media di Sorbolo a scoprire la Veronica poetessa: la spronano a comporre versi e poi anche a pubblicarli. Con un immediato successo.

In Veronica c’è un poeta che si nutre della sua breve età, con le visioni e la maturità che sembrano venire da una vita già ampiamente vissuta”, afferma lo scrittore Alberto Bevilacqua dopo aver letto quei componimenti. “Nella poesia di Veronica noi troviamo una saggezza che molti adulti vissuti e rivissuti non hanno e non avranno forse mai; la saggezza di saper aspettare; la saggezza di saper cogliere, anche nella piccola occasione quotidiana un germe di eternità; la saggezza di saper vedere, oltre il tramonto del giorno, un altro giorno”, osserva il critico letterario Giuseppe Marchetti.

La ragazzina viene intervistata da giornali e televisioni e i suoi versi tradotti in russo. Dopo la prima, esce a stampa la sua seconda raccolta di poesie. Lei non si fa certo prendere dal successo; come potrebbe, incalzata com’è da malattia e medici? Piuttosto, continua a scrivere sempre più versi.

La malattia, purtroppo, è sempre stata musa di artisti. Ma Veronica trova ispirazione anche nella poesia ironica e gioiosa di Prévert, nelle domande esistenziali del biblico libro del Qoelet, una Crocifissione di Renato Guttuso vista in mostra a Venezia le suscita infinite domande.

La poesia non è la risposta, ma il sentiero di un’incessante ricerca. Per Nicky Biancardi è anche la cura, più efficace di chemioterapia ed interferone. Poesia con cui affronta la malattia:

Vorrei narrare alla luna alle stelle / le gioie più belle / per farle splendere / e sperare / in un futuro migliore / perché se c’è / qualcuno che sorride a te / un domani ancora c’è”, scrive. “Se un fine / ha la forza / di concludere la mia poesia / ci sarà un inizio / a dar il coraggio / di ricominciare”, afferma.

La poesia è anche ciò che rimane di Veronica anche dopo che ha chiuso gli occhi per sempre.

Ti ho pensato
pensiero.
Ti ho scritto
e imprigionato
per fare felici
altre persone.
Ora ti cancello,
non tornare
più da me.
Ora sei libero,
non posso voltarmi
potrei cambiare idea.
Avanza verso
la tua libertà.
Sei un pensiero
non puoi fermarti
”.

Veronica Biancardi (fotografia da veronicabiancardi.it)
Veronica Biancardi (fotografia da veronicabiancardi.it)

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Succede il 23 di aprile:

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