
23.4.1581. Vita, morte e polemiche del doctor dyabolicus
23 aprile 1416 – Muore il Dottor Diabolico, ovvero il filosofo, astronomo e matematico Biagio Pelacani, che pur condannato per eresia, ha la lastra tombale incastonata sulla facciata della cattedrale di Parma.
Nato a Costamezzana di Noceto attorno al 1350, lascia il parmense per studiare e Pavia e poi per insegnare a Padova, a Bologna, a Firenze e ancora a Pavia.
A Parma tornerà solo in avanzata età, quando le grandi università non lo vorranno più, perché Pelacani è un miscredente e non lo nasconde.
Secoli più tardi, agnostici e atei abbonderanno, ma nel Trecento affermazioni come quelle che il nostro fa a lezione sono incettabili: che l’esistenza di Dio non può essere dimostrata, che non vi è certezza sull’esistenza del paradiso, che non c’è evidenza di un’anima nelle persone.
È proprio per le sue posizioni sull’anima, che un suo studente gli affibbia il soprannome di “doctor dyabolicus“. Qualcuno viene affascinato dalle posizioni fuori dagli schemi di Pelacani, ma la maggior parte dei colleghi e degli allievi lo ascolta come si ascolta un pazzo.
Biagio Pelacani ha fede, ma solo in quello che gli si para davanti in maniera palese.
Nel 1396, la misura è colma: Pelacani viene formalmente inquisito per eresia. A Pavia, per non perdere la cattedra, ritratta pubblicamente. Ma poi, quando torna in aula, continua a spiegare che quel che afferma la religione non ha evidenza e invita gli studenti a scegliere fra la tradizione cristiana e la loro esperienza diretta.
Quando Biagio torna a Parma nel 1412, sulle sue posizioni decisamente non ortodosse si tira un colpo di spugna, così come sulle sue stravaganze, sui suoi atteggiamento sopra le righe, sulla sua irriducibile verve polemica. Perché Biagio torna con la fama di un sapiente, che ha vinto dispute dialettiche e conquistato posizioni nei templi del sapere.
In questo 23 aprile 1416, per ricordarlo dopo la morte, viene scritto un epitaffio tanto retorico quanto elogiativo:
“L’inclita luce, luminoso splendore celeste di sapienza, lume e nume venerabile di arcadici vati. Ecco Biagio, Apollo degli studi della sua età, che la stirpe dei Pelacani di Costamezzana generò. Qui giace immortale onore della patria, la tua gloria, o Parma, sotto il quale la sua generazione coltivò Minerva filosofa, le Muse in colloquio con gli astri e tutte le matematiche”.
Ma di tutte queste polemiche, passati pochi anni, nessuno si ricorderà più. I posteri di Biagio Pelacani non leggeranno più i trattati sull’anima o sull’astrologia, ma solo alcuni testi sulla prospettiva, nei quali in parte il parmense anticipa Leon Battista Alberti.

Sulla destra è il ritratto dello scienziato e filoso con in mano un globo, riferimento al suo Theorica planetarum, trattato sul moto dei pianeti.

