23.3.1950. Manifestanti uccisi dalla polizia

23 marzo 1950 – Centocinquantamila persone partecipano al funerale di Attila Alberti. Il corteo funebre marcia dalla Camera del Lavoro al cimitero della Villetta, sostando in piazza Garibaldi per ascoltare lunghi discorsi di commiato. La folla procede in silenzio, sventolando migliaia di bandiere rosse, tricolori e di formazioni partigiane, tutti al seguito della bara, portata a spalla.

Attila Alberti, 32 anni, è stato ucciso il giorno prima dalla polizia al termine di una manifestazione operaia, falciato da una raffica di proiettili all’addome. Al termine di una manifestazione di protesta in piazza, assieme a molti altri stava allontanandosi lungo via della Repubblica. All’angolo con vicolo Sant’Ambrogio, la polizia carica gli operai, inseguendoli fin dentro la chiesa di Santa Cristina. Qualcuno spara, qualcuno in aria, uno ad altezza uomo. E colpisce a morte Alberti.

Ma non finisce qui. La polizia ha arrestato alcuni manifestanti. Fra loro è anche Luciano Filippelli, malato di diabete. Condotto in carcere, viene picchiato nel corso di un interrogatorio e per 24 ore non gli è concesso di assumere l’insulina, per lui vitale. Filippelli, trasportato tardivamente all’Ospedale Maggiore, morirà il 1° aprile, all’età di 26 anni.

Negli stessi giorni, altri due manifestanti muoiono all’Aquila e a Foggia. La Storia li ricorda tutti come vittime dei metodi di controllo sociale del ministro dell’Interno Mario Scelba.

La sera del 22 marzo, dopo il maledetto corteo, il questore di Parma vieta altre manifestazioni in città fino al 15 aprile, ma è ignorato. L’imponente funerale del 23, che raduna non solo operai ma braccianti e borghesi di ogni mestiere, è la risposta immediata e chiara della popolazione di Parma contro la violenza di Stato.