23.2.1345. La rocambolesca fuga di Francesco Petrarca
23 febbraio 1345. Francesco Petrarca, al tramonto del sole, in silenzio, esce dalle mura di Parma, attraversa un accampamento di soldati e fugge. Passano poche ore ed è assalito da uomini armati e solo per grande fortuna (e agilità) si salva. Ma non è finita, nella corsa pazza e cieca, il suo cavallo cade in un fossato e lui sotto. Si rialza, un braccio forse rotto, si rimette in sella, ma ormai la strada è persa. Inizia pure a grandinare. “Notte d’inferno, […] ira di Giove, timor degli uomini e delle fiere, e fra tanti mali il corpo infermo”.
L’ha raccontata così lo stesso grande poeta, in una lettera scritta due giorni dopo da Bologna, con una mano che ancora non gli rispondeva a dovere.
Petrarca è frequentatore abituale di Parma. Vi abita fra 1341 e 1342, poi dalla fine del 1343 al febbraio 1345. Nel 1346 è nominato canonico della cattedrale e nel 1348 arcidiacono. I suoi soggiorni, sebbene più brevi e occasionali dopo il 1348, proseguono fino ai primi anni ‘50.
Perché è fuggito di notte? Non ne poteva più dell’assedio che stringe la città dal gennaio 1343.
Attorno alle mura erano stati prima i cavalieri di Mastino della Scala venuti da Verona, e ora quelli di Milano, Mantova, Bologna, Verona e Padova, mandati da Giovanni Visconti. Nonostante le sortite coraggiose dei difensori, l’assedio si prolungava consumando gli abitanti. “La guerra si è fermata qui a Parma”, scrive Petrarca.
Il letterato ha preso una casa non nel borgo che oggi porta il suo nome (qui starà dopo il 1346), ma vicino all’attuale collegio Maria Luigia. E con l’assedio che tiene in scacco la città non può far altro che stare in quella casa (ne approfittò per comporre il poema epico Africa, per il quale fu incoronato poeta in Campidoglio). Finché “fra quelle strette sentii nascermi in cuore il desiderio di quella libertà, che ardentemente sempre bramai” e si risolve alla rocambolesca fuga.