22.2.1300. Il giubileo dell’usuraio pentito
22 febbraio 1300 – Papa Bonifacio VIII, dando seguito ad un grande movimento popolare, indice il primo giubileo della storia cristiana. Onde di pellegrini scorrono da ogni angolo d’Europa fino a Roma, per lucrare le indulgenze promesse. Inevitabilmente, pure da Parma partono migliaia di fedeli, conquistati dal sentimento spirituale di questo anno rotondo.
Fra loro vi è anche un certo Giovanni Arcili, abitante della vicinia di Santo Sepolcro, che nella sacca da romeo porta una storia particolare. Alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo vuole andare per liberarsi di un peccato che, al di fuori di questa straordinaria occasione, difficilmente sarebbe perdonabile.
Il nostro Arcili da una vita intera fa infatti l’usuraio e sa che per lucrare interessi insostenibili ha portato gravi sofferenze a molti suoi concittadini.
È lui stesso a confessare il peso che gli grava sulla coscienza, nel testamento che detta prima di mettersi in viaggio, il 10 aprile: sa di aver speso la sua esistenza a far del male in onore al dio denaro. Come liberarsene? Andando a piedi fino a Roma, certo. Pregando sull’altare di San Pietro e degli altri santi, sicuramente. Ma occorre anche un’azione più concreta: restituire il malguadagno. Ed è proprio questo che Giovanni Arcili stabilisce nel momento in cui si prepara a prendere la via del sud.
L’usura gli ha reso un tesoretto di quindici libbre e sedici solidi imperiali. “Dico e confesso che ho indebitamente e ingiustamente guadagnato e tenuto attraverso l’usura”, questi soldi, ammette Arcili, “dei quali intendo e stabilisco di liberarmi; devono essere resi dai miei fiduciari. La mia eredità ed i miei beni, dal primo all’ultimo centesimo, saranno restituiti a quelle persone che hanno diritti su detto denaro”.
Nel Duecento e nel Trecento, l’usura è un argomento molto discusso. Nel Medioveo è usura qualsiasi guadagno ricercato attraverso il prestito di denaro, indipendentemente dal tasso di interesse. L’unico interesse ammesso è quello per la refusione di eventuali danni subìti per ritardi nella restituzione di prestiti, come sono ammessi doni spontanei del mutuatario, ma realmente spontanei; null’altro. Il guadagno da un prestito è considerato “profitto vergognoso” e per questo equiparato al furto. Al momento della morte, i proventi di furti non andavano agli eredi, ma dovevano tornare ai derubati. Allo stesso modo era uso fare con i beni guadagnati dall’usura.
Giovanni Arcili è ben consapevole di rientrare in tale casistica e parte pellegrino dopo aver confessato e disposto di conseguenza.