21.5.1580. L’indice dei libri proibiti parmigiano
21 maggio 1580 – A Roma Paolo Costabili è eletto nuovo maestro generale dell’ordine dei Domenicani, nomina che ha immediate conseguenze anche su Parma. Fra le prime decisioni prese da Costabili è infatti l’assegnazione a Parma di un nuovo inquisitore vicario: Vincenzo da Ravenna. Che appena arrivato fa stampare dal tipografo Viotti l’Index librorum prohibitorum, cioè una lista aggiornata e ampliata di libri che nessuno deve possedere né tanto meno leggere.
L’Indice parmigiano del 1580 potrebbe essere stato ordinato direttamente da Costabili (sul frontespizio si specifica: “Concesso superiorum”), che prima della sua elezione era stato inquisitore di Ferrara – sede da cui dipendeva quella di Parma –, di Milano e poi maestro del Sacro Palazzo a Roma, incarico che consisteva soprattutto nel combattere l’eresia censurando i libri, da lui assolto con particolare rigore. La Parma dei Farnese, fino al 1580, è sfuggita alla sua diretta revisione culturale, ma come capo dei Domenicani, può ora estendere anche al Ducato quell’azione censoria già attuata in altri territori del nord Italia.
Nel 1580, la Chiesa cattolica ha già proibito un gran numero di libri, ma l’applicazione e l’aggiornamento della censura sono ancora confusi e soggetti a molte eccezioni. L’Indice di Parma è una lista molto più ampia di altre ufficialmente approvate, decisamente la più lunga fra quelle note di questo periodo. È un elenco di ben 550 voci, fra autori, titoli ed intere categoria di pubblicazioni. Di queste, 250 sono voci che fino al 1580 non erano soggette a divieti. La lista parmigiana dei libri da mettere al rogo è stata probabilmente stilata personalmente da Costabili già nel 1577, assieme al confratello Damiano Rubeo, quando lavoravano insieme a Modena per riordinare l’archivio dell’inquisizione.
Dentro c’è di tutto. È vietato leggere la Bibbia se scritta in una lingua diversa dal latino, compresi i Vangeli, così come qualsiasi eventuale parafrasi o trasposizione in versi.
Sono proibite tutte le “canzone disoneste ò lascive” e le “comedie disoneste ò lascive”, così come le “historie tutte che non portano giovamento ne à boni costumi ne à dogmi della fede”, “qualunque altre lettere amorose”, le illustrazioni dell’utero femminile, le “Lettere scritte d’Auttori damnati”.
Come è facile attendersi, la censura si accanisce contro scrittori giudicati eretici, alcuni del passato – Tertulliano, fra Dolcino, Girolamo Savonarola –, altri legati al movimento protestante, fra i quali è inserito anche Erasmo da Rotterdam. Nell’Indice ci sono poi alcuni testi dedicati alla magia e ai sogni. Ma la maggior parte degli scrittori attaccati, sono letterati.
Viene ordinato di epurare ogni biblioteca del Decameron di Giovanni Boccaccio, del Cortigiano di Baldassarre Castiglione, della Storia d’Italia di Francesco Guicciardini, de L’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo, di tutti i libri di Macchiavelli, delle Satire di Ludovico Ariosto, come in generale tutte le satire sono additate, ad esempio il Ragionamento dell’asino di Giovan Battista Pino, o Il paese dei buffoni di Francesco Bernia.
Fra gli autori respinti ci sono diversi contemporanei. Ad esempio Francesco Sansovino con le Lettere, le Cento novelle e la Storia dei turchi; Alessandro Piccolomini con il Dialogo della bella creanza delle donne; Ludovico Guicciardini con i Detti et fatti piacevoli e L’ore di ricreazione; Pietro Bembo con le Rime; c’è pure un monaco di San Benedetto Po, Giovanni Battista Folengo, di cui non si può leggere più nulla. L’unica donna che compare nell’Indice è l’umanista Olimpia Morata di Ferrara.
La censura colpisce anche qualche medico, come Paracelso o l’intera opera di Gerolamo Cardano.
Addirittura, all’indice finisce pure un dizionario greco-latino, reo di essere stato composto dal protestante Giovanni Crispino.
Tutti questi e molti altri libri, nel 1580 sarebbero stati da mettere al rogo. Un po’ bruceranno per davvero, ma l’applicazione del decreto non sarà lineare né pacifica. Tutti i titoli citati esistono ancor oggi.