20.7.1846. Il monumento all’ultimo boia
20 luglio 1864 – Il Tribunale amministrativo di Parma ordina di abbattere il monumento funebre che l’ultimo boia di Parma aveva fatto erigere per sé e per la sua famiglia, nella quale non è l’unico a svolgere questo mestiere.
L’ultimo “esecutore di giustizia” si chiama Giuseppe Pantoni. La sua carriera è terminata già da qualche anno: alle 11 e trenta di mercoledì 22 settembre 1858 ha eseguito l’ultima sentenza capitale a Parma, impiccando Giovanni Provinciali detto “il Tosco” sul bastione di San Francesco. Negli ultimi anni, di condanne a morte ce ne sono state pochissime, come vuole il duca Carlo III. Ma in gioventù il lavoro non gli è mancato. I suoi condannati più famosi, giustiziati operando assieme al fratello Pietro, sono stati i patrioti Ciro Menotti e Vincenzo Borelli, a Modena il 26 maggio 1831.
Professione di famiglia, quella di boia. Il padre Antonio in gioventù era operaio a Roma, ma poi gli è stato proposto di diventare “aiutante del benefattore”, un eufemismo per dire carnefice, e così ha appreso il mestiere. Si è trasferito a Reggio, dove l’incarico di boia ufficiale era vacante, ed è stato assunto, per poi proseguire con lo stesso titolo a Modena. Antonio ha trasmesso il lavoro ai figli. Il fratello Pietro è boia a Torino. E Giuseppe ha fatto altrettanto: uno dei suoi figli, Luigi, sarà l’ultimo esecutore di giustizia in Italia, continuando ad eseguire sentenze capitali fino al 1889, quando la pena di morte verrà cancellata dal Codice penale. Un nome così noto che a metà Ottocento i delitti gravi venivano detti eufemisticamente “roba per Pantoni!”.
Giuseppe Pantoni è persona distinta, veste sempre di scuro, si considera un ufficiale di giustizia. Con la famiglia – ha almeno sette fra figli e figlie, che la gente chiama “bojetti” – abita nella prima casa delle carrare di San Giuseppe (oggi borgo S. Giuseppe). Ora che non ci sono più condanne a morte da eseguire, è andato a fare l’oste presso l’osteria del figlio Benedetto, e produce pure con la figlia Angela una crema erboristica che vende come rimedio per i mali della pelle, che sarà oggetto di multe e sequestri perché non così efficace.
Quando era giovane, tra il 1819 e il 1823, a Parma è stato costruito un nuovo grande cimitero, la Villetta. E un posto era stato lasciato proprio per lui. I boia non potevano essere sepolti in terra consacrata, così un angolo esterno al grande recinto ottagonale che simboleggia la risurrezione, era stato destinato alle sepolture degli esecutori di giustizia, proprio vicino al prato riservato alle tombe dei condannati a morte, e appena a lato di quelle dei suicidi.
L’ottagono della Villetta è inscritto in un quadrato, così vengono fuori quattro triangoli agli spigoli. Il primo è l’ossario e gli altri tre sono utili per chi non ha accesso al cimitero dei buoni cristiani: oltre al triangolo di boia, condannati a morte e suicidi, ce n’è uno per ebrei ed evangelici ed uno per i bambini morti prima del battesimo, tutti con ingressi autonomi.
Ma nel 1861, il Regno d’Italia ha cancellato ogni distinzione nei campisanti, e Giuseppe Pantoni si è trovato improvvisamente senza un luogo dove riposare in eterno, quando verrà il giorno. Chissà in che modo pensa alla morte, un boia. Allora ha comprato una parcella di terreno nel cimitero comune e lì ha fatto costruire il monumento della famiglia Pantoni.
Apriti cielo! Dentro il cimitero sì, ma non dando così nell’occhio. E poi, davvero in quella cappella dovranno essere inumati Giuseppe, Pietro, Luigi…: tutti gli ultimi boia d’Italia, tutti qui a Parma?! Il Comune si oppone, contesta la mancanza di una specifica licenza edilizia per il monumento e ordina di demolire tutto. Giuseppe prova a resistere, ma nessuno gli dà ragione. Il monumento funebre al boia, non esiste più.
Morirà nel 1910 a 62 anni nella propria casa. Nel 1947, in quel triangolo di cimitero che era per carnefici, suicidi e condannati a morte è stato creato il chiostro di padre Lino.