20.6.1812. La donna che voleva prendersi gli affreschi del Correggio
20 giugno 1812 – Le autorità francesi che governano Parma approvano la lista di affreschi da staccare dai muri dei conventi soppressi, per poterne spedire i migliori a Parigi. Nell’elenco ci sono anche i celebri dipinti del Correggio nella Camera della badessa del San Paolo. Nel 1813, per la scellerata rapacità degli occupanti e l’ottusità dei burocrati incaricati di eseguire l’operazione, il capolavoro del Correggio ha seriamente rischiato la distruzione.
Le cose vanno così. Il 13 gennaio 1810, Napoleone sopprime tutti i conventi e congregazioni religiose del Dipartimento del Taro meno due.
Il 21 dicembre 1811, giunge a Parma il direttore del Museo di Parigi Vivant Denon, con l’ordine di scegliere fra i patrimoni artistici di quei conventi le opere da portare in Francia. Vivant stila una lista di dieci quadri, che sono imballati e prendono la via delle Alpi.
Ma non si accontenta. Restano gli affreschi. Che Vivant vuole staccare prima di mettere all’asta i conventi.
I parmigiani sono sul piedi di guerra. Già nel 1796 Napoleone si era preso le venti migliori opere presenti a Parma, in cambio del ritiro delle sue truppe. Quando comunque la Francia occupa il Ducato, nel 1803, altre opere minore sono razziate. E adesso pure i dipinti sui muri!?
Vivant prova a mediare. Porterà via solo parte degli affreschi. Il resto resterà nell’Accademia nel Palazzo della Pilotta. Meglio così che vendere tutto a un privato che potrebbe a sua volta staccare i dipinti e venderli, afferma Vivant.
I professori dell’Accademia provano a resistere. Gli affreschi, a staccarli, si rovinano. Già si è provato a farlo in passato, mai con buoni risultati.
Allora Vivant estrai il suo asso dalla manica, che si chiama madame Maria Barret-Chaurion: una pittrice francese che ha inventato una nuova tecnica di stacco e l’ha sperimentata a Roma con soddisfazione di tutti (dice).
La Barret arriva a Parma il 24 febbraio 1813. Visita la Camera di San Paolo e dice che si può fare. Vuole 135 franchi a metro quadro, 84 per le pareti lisce.
Ma prima di attaccare il Correggio, le si chiede di dimostrare la bontà del suo sistema sui dipinti di Giovan Battista Tinti nella chiesa delle Cappuccine (in fondo a via Farini). Il 26 e 27 marzo, la signora francese si chiude nel monastero, dove non abita più nessuno, e applica le sue colle e i suoi fondenti sugli affreschi prima di strapparli incollandoli a fogli di carta.
Quando i professori dell’Accademia osservano i risultati, restano scandalizzati. Dove sono finiti i bei colori? I dettagli del disegno? Mancano perfino una testa ed una gamba! L’operazione va subito cancellata.
La Barret, stizzita, sostiene che tutto è andato benissimo e vuole andare avanti. I funzionari francesi, per primo il prefetto Dupont Delporte, minimizzano i danni: hanno ordini da Parigi, lo stacco deve essere venuto bene per forza.
E allora vai con la seconda prova, che riesce come la prima: un disastro.
Da Parma parte una serie di lettere per Parigi, direttamente al ministero degli Interni, per scongiurare uno scempio, mentre madame Barret insiste per eseguire lo stacco, che tanto prestigio conferirebbe alla sua segreta tecnica.
A Parigi non decidono. Si vada avanti, scrive il ministro Montalivet il 4 novembre, ma solo su una porzione di dipinti del Correggio, per vedere come va.
Per fortuna, Napoleone sta perdendo la guerra. Si perde tempo e arrivano gli austriaci. Ciao francesi, ciao Barret, Correggio resta al suo posto.