20.10.1974. San Pellegrino e le altre chiese funzionali ma brutte
20 ottobre 1974 – Giorno speciale per strada Farnese e gli abitanti del nuovo quartiere che gli sta crescendo intorno: il vescovo Amilcare Pasini consacra la nuova chiesa di San Pellegrino. La parrocchia esiste già da sei anni, ma solo oggi i fedeli possono entrare nel loro nuovo tempio. E fra loro si notano alcuni volti perplessi.
San Pellegrino non assomiglia affatto all’idea comune di chiesa, a quegli edifici che anche i bambini disegnano se pensano ad una chiesa. È invece una sorta di torre di Babele alla Abel Grimmer in miniatura, un muro di cemento armato privo di finestre che si avvolge su se stesso salendo verso il cielo, un grigio vulcano a spirale.
All’interno, l’aula assembleare ha un che di crepuscolare, illuminata solo dall’alto, con linee che convergono sull’isola rialzata del presbiterio e una stanza isolata per il santissimo.
Dal punto di vista liturgico, la chiesa rispetta perfettamente i dettami del concilio Vaticano II. Architettonicamente, è un esperimento che sacrifica l’estetica ad un simbolismo – il vortice verso il cielo, quasi una correggesca assunzione tridimensionale – di non immediata comprensione.
Il 1974, al pari del 1970, è un anno record in fatto di nuove chiese; ne aprono tre in pochi mesi.
I lavori per San Pellegrino sono iniziati il 29 marzo 1972. Il progetto non è di un architetto, ma di due ingegneri, Luigi Caffarra e Gino Galloni, che dominano la scena parmigiana dell’architettura sacra nei primi anni del governo di monsignor Pasini.
Pasini è amministratore apostolico dal 1966 al 1971 e vescovo dal 1971 al 1981. In questo periodo in città vengono aperte al culto ben otto chiese, nove con quella della vicina Pontetaro. Quattro di queste sono opera di Caffarra, quasi sempre in coppia con Galloni: nel 1969 apre San Patrizio in via Lanfranco, nel 1970 la Famiglia di Nazareth nel quartiere Montanara, nel 1973 Santa Maria Maddalena di Pontetaro. San Patrizio è la loro ultima realizzazione.
Negli stessi anni o immediatamente dopo sono inaugurate anche le Stimmate dell’architetto Vittorio Gandolfi (1970), Sant’Evasio degli ingegneri Vincenzo Banzola e Bruno Morini (1970), Maria Immacolata dell’architetto Armido Punghellini (1974), Cristo Risorto dell’ingegner Italo Borrini (1974) e San Giovanni Battista dell’architetto Guido Canali (1976).
Hanno tutte forme ardite, sperimentali, a volte dure come un pugno, e continueranno a suscitare sguardi perplessi anche nei decenni successivi.
Prima della stagione di Pasini, i nuovi templi cristiani richiamavano ancora stilemi tradizionali (l’ultima di questa serie è Santa Maria del rosario di Luigi Sassi, del 1962). Negli anni ’80, con la nuova Sant’Andrea in Antoniano di via Berzioli, degli architetti Maria Ortensia Banzola e Roberto Tarasconi (1982), il postmodernismo arriverà anche a Parma e si ritornerà alle citazioni del passato, a costruzioni più umane.
In mezzo c’è questa eredità dei ’70, anni che vorrebbero cambiare tutto, ma che spesso si fermano alla riproposta di un esausto modernismo, col suo culto del funzionalismo e della tecnica.