Animali,  Economia,  Età contemporanea

19.4.1902. Arriva l’apicultura, fra speranze e paure

19 aprile 1902 – Il Teatro Reinach ospita la “istruzione pubblica intorno all’utile grande diretto ad indiretto che deriva dall’apicultura”.

L’evento è organizzato da Alberto Maestri, pioniere delle api, che vorrebbe convincere i suoi concittadini della bontà dell’allevamento di questi insetti, un’attività antichissima, ma che a Parma resta sconosciuta fino a tempi relativamente molto recenti.

A inizio Novecento, i pochi alveari in provincia sono proprio i suoi, che gestisce con fatica, spesso vittima di infondate paure verso quegli imenotteri e i loro pungiglioni.

Maestri alleva api fin dal 1869, quando aveva 16 anni. Un autodidatta, che sperimenta tecniche per preservare sempre la salute dei suoi animali e ottimizzarne la resa. Ogni “famiglia” – così chiama gli alveari – gli dà fra 10 e 15 kg di miele all’anno, che Maestri utilizza direttamente: produce mostarde, spongate e torroni, in vendita nel suo negozio in borgo Angelo Mazza al 14 e poi in piazza del Parmigianino (piazza della Steccata), assieme a lattemiele e vasetti di miele. E smercia pure la cera.

Ma fatica a trovare spazi in cui tenere gli alveari, perché molti temono le api. Tanto che le sue arnie sono state sfrattate a più riprese. Ne aveva ad esempio al Parco Ducale, dal 1881, ma nel 1889 l’amministrazione comunale ha cacciato via le api, anche se nessuno era mai stato punto. Nel 1897, poi, i lavori del nuovo ponte Umberto I (ponte Italia) obbligano a spostare anche quelle tenute presso l’orto dell’istituto tecnico.

In questa conferenza al Reinach, Alberto Maestri parla di quanto sia conveniente allevare api, perché il miele è meglio dello zucchero, meno caro e più sano. Parla dei modi per avvicinarsi agli alveari senza pericoli, usando un po’ di fumo, ma non troppo per non far male agli insetti. Cerca di convincere gli agricoltori ad ampliare le loro attività all’apicoltura, come nel Settecento si era aggiunto l’allevamento dei bachi da seta, che tanto beneficio aveva portato all’economia di Parma. Tutte cose che gli enti pubblici e le istituzioni finanziarie dovrebbero promuovere.

Ma non viene ascoltato.

Pochi anni dopo, nel 1906, ancora tornerà a raccontare di quanto carente sia l’apicoltura nel parmense: ci sono sempre e solo i suoi alveari, “450 famiglie”.

Mi angustia il timore di parlare al deserto di essere forse creduto un visionario. L’apicultura nelle nostre provincie è completamente trascurata. Per ignoranza e per effetto d’inveterati pregiudizi, siamo alla coda di tutti e perdiamo così un prodotto ricchissimo”.

Ho cercato e ricercato a diversi proprietari dei piccoli posticini dove non ricavano interesse alcuno, ma non mi fu mai possibile di trovare, neppure pagando un po’ di accondiscendenza, nemmeno in via d’esperimento”.

Per una apicoltura diffusa, si dovrà attendere la seconda metà degli anni Trenta.

api

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