18.5.1929. Il progetto dei capannoni, per vendetta e per igiene
18 maggio 1929 – Il Comune di Parma progetta i capannoni, alloggi popolari volutamente scomodi, in cui parcheggiare la gente dell’Oltretorrente per il tempo necessario a cambiar volto al quartiere.
Da un anno, il podestà Mario Mantovani lavora ad un grande piano di demolizioni e ricostruzioni. Vuole buttar giù 250.000 metri quadrati di abitazioni e rifarne il doppio. L’opera costa molto, ma il governo nazionale ha promesso aiuto. A giugno sarà approvata una legge ad hoc per un prestito di 14 milioni di lire da restituire in 30 anni. L’unico problema è la gente che vive in quelle case: vi abitano o lavorano circa 1.600 persone. Dove metterle?
Ci ha pensato l’ingegnere capo del Comune Giovanni Uccelli, che ha progettato moduli abitativi fuori dall’area urbana, dei “padiglioni in muratura per il temporaneo ricovero degli sfrattati”, come recita il titolo ufficiale del progetto, approvato in questo 18 maggio. I parmigiani dell’Oltretorrente non hanno scelta, possono solo andarsene.
I capannoni sono strutture ad un solo piano, con pavimento di terra battuta, senza acqua corrente se non all’esterno, divisi in stanzoni. Le famiglie che saranno obbligate ad abitarle avranno una stanza per una, le più fortunate due.
Uccelli scrive di averli pensati brutti e disagevoli, questi alloggi, apposta per non far venir voglia agli abitanti di restarci a lungo. L’idea, infatti, è di riportare la gente nell’Oltretorrente non appena finiti i lavori.
Perché tutto questo sforzo? Perché l’Oltretorrente è un covo di anarchici noto in tutto il Paese. Dalla fine dell’Ottocento, nelle viuzze strette di là dall’acqua si susseguono manifestazioni, fortini, scioperi… Le barricate del ‘22 sono solo l’ultima e la più riuscita di queste prove di resistenza, favorite dalla conformazione urbanistica della zona, dove è facile costruire sbarramenti e fuggire attraverso porte o tetti. Il regime fascista vuole cancellare tutto questo, allargare le vie abbastanza da rendere difficile fortificarle. E un po’ anche punire quelli che si opposero a Balbo e a tutte le camice nere d’Italia.
Ma anche perché le condizioni igieniche dell’Oltretorrente sono terribili. I tassi di mortalità e di contagio di malattie infettive, qui sono molto più alti che nel resto di Parma. Un risanamento di edifici umidi, maleodoranti, in strade senza fognature, è necessario. E chissà che a rifar le loro case, almeno una parte di questa gente di sinistra non inizi ad apprezzare di più il nuovo regime dittatoriale.
I capannoni saranno edificati in via Venezia, via Verona, via Toscana, nella zona Paullo, al Cornocchio, al Castelletto e in via Navetta. Centinaia di famiglie scacciate dall’Oltretorrente vi abiteranno per 7 anni. Invece che guadagnare favore, le autorità di Parma, nel disagio del popolo dei capannoni trovano crescente ostilità, tanto da tentare di mitigare il disagio delle loro condizioni.
Nel 1935, i cantieri dell’Oltretorrente chiudono e quasi tutti gli sfrattati rientrano nel loro quartiere. Ma i capannoni non saranno abbandonati. Diventeranno la casa degli ultimi arrivati ancora per decenni. Vi verranno messi quelli che vengono dalla campagna, quelli colpiti dai bombardamenti, quelli immigrati dal meridione, in strutture che col passare del tempo subiranno un crescente degrado.
Ancor oggi, a Parma “capannone” suona come uno stigma.