18.12.1666. In via D’Azeglio, la galleria dei santi parmigiani
18 dicembre 1666 – Il pittore Giovanni Maria Conti termina la decorazione del nuovo oratorio di Sant’Ilario in strada Santa Croce (via D’Azeglio). Il lavoro è durato quasi due anni e mezzo e gli ha fruttato 4.563 lire e 15 soldi, che in parte vanno ai suoi collaboratori Antonio Lombardi e Francesco Maria Reti.
La chiesa è stata ricostruita in questi stessi anni dall’Ospedale Maggiore, in sostituzione di una più antica in rovina che stava poco più a ovest. Il nuovo edificio chiude un antico vicolo non più utilizzato.
La dedicazione a Ilario proviene da un’altra chiesa ancora, la prima Sant’Ilario, fuori dalla porta di Santa Croce, demolita da Pier Luigi Farnese nel 1546 per liberare lo spazio attorno alle mura, la “tagliata”; questa era sede della potentissima Società della Croce, con accanto pure un ospedale intitolato sempre al santo di Poitiers.
Gli affreschi di Giovanni Maria Conti raccontano di molti personaggi della storia di Parma, perché i committenti hanno voluto caratterizzare l’oratorio con santi e beati legati alla città, oltre a qualche santo guaritore, sempre utile in un ospedale.
La scelta dei soggetti è certamente debitrice del grande lavoro di ricerca di Ranuccio Pico, segretario del duca Ranuccio II, che nel 1644 aveva dato alle stampe il Teatro de’ santi e beati della città di Parma, raccolta di storie e leggende.
Di Parma, in Sant’Ilario c’è Bertoldo, morto nel 1111, il santo campanaro e taumaturgo, che i parmigiani da secoli pregano per guarire dalla malaria.
C’è Simona Cantulli, la “beata della Canna” perché girava sempre con un bastone nella destra a ricordo della passione di Cristo, mistica del Quattrocento che all’età di cinque mesi disse la sua prima parola: “Gesù”.
Ci sono don Donnino e Raimondo Raimondi, fratelli, vissuti nel Trecento e ricordati, per la santità di vita; Donnino è direttamente legato all’ospedale anche per averne fondato uno nel 1341, l’ospedale della Disciplina presso Porta Nuova (barriera Farini).
C’è Giovanni Antonio da Parma, un francescano quasi sconosciuto, morto attorno al 1440.
C’è un certo Filippo, che secondo Pico è il primo o secondo vescovo di Parma, qui inviato nel 362 da papa Liberio dopo la consacrazione dalle mani di sant’Ambrogio, rappresentato accanto a Giovanni da Pian de’ Carpini, missionario del Ducento, che arrivò fino in Mongolia, non legato a Parma, ma di cui molto scrive il parmigiano Salimbene.
C’è Giovanni Buralli, generale dei Minori francescani nel 1247, dipinto accanto a un tal beato Andrea, che più che Andrea da Parma (ce ne sono due, uno vallombrosiano dell’XI secolo e uno francescano del XV) potrebbe essere sant’Andrea Avellino, beato dal 1624, santo solo dal 1712, legato a casa Farnese.
C’è Orsolina Veneri, che vive come Caterina da Siena e opera per ricucire lo scisma d’occidente recandosi fino ad Avignone.
C’è Tiberio Tiberi, ministro generale dell’Ordine degli Umiliati dal 1355 al 1375.
C’è Martino dei conti Casaloldi, vescovo di Mantova dal 1252, collaboratore di più papi, anche per promuovere l’ottava crociata.
C’è sant’Alberto, patriarca di Gerusalemme dal 1205 al 1214, all’epoca del Saladino, nato nella corte del Gualtirolo di Cadelbosco Sopra, che al tempo era parte della Diocesi di Parma, assassinato in una processione. Ma potebbe essere anche il beato Alberto patrono dei brentatori (i portatori di vino), cui era dedicato un ospedale aperto nel 1279 il cui culto si confuse nel tempo con quello di Gerusalemme.
Sant’Arialdo, diacono milanese ucciso da altri presbiteri nel 1066 perché combattivo accusatore della corruzione del clero: oggi sappiamo che con Parma non c’entra, ma Pico lo ha creduto parmigiano e altri fidentino.
C’è san Bernardo degli Uberti, grande vescovo all’epoca di Matilde di Canossa e della Riforma gregoriana.
La lista dei santi parmigiani finisce qui. Ma anche gli altri personaggi dell’oratorio dell’Ospedale Vecchio raccontano la storia della città. Sono infatti tutti collegati a ospedali del passato oppure agli ordini monastici qui presenti: san Giovanni evangelista dei benedettini; san Girolamo patrono dei gesuati, che dal 1580 al 1688 abitano il complesso di San Benedetto; i santi francescani Antonio da Padova per minori conventuali (in San Francesco del Prato) e Bonaventura per i minori (all’Annunciata); san Nicola da Tolentino per i domenicani; san Francesco Saverio per i gesuiti.
San Bovo non richiama frati, ma un ospedale attivo dall’inizio del Trecento, uno dei pochi non legati a enti religiosi, ma finanziato dal Comune, poi fuso col Maggiore.
Infine, san Vitale, martire nel 175, il cui corpo secondo la tradizione è sepolto a Parma, nella chiesa di San Giovanni evangelista.
Completano il ciclo di affreschi i santi guaritori: Cosma e Damiano (protettori di medici e farmacisti), Sebastiano (epidemie), Fabiano (malattie mentali), Rocco (peste) e Omobono, quest’ultimo esempio di generosità verso i poveri.