18.11.1911. Attilio Bertolucci, poeta dell’eterno
18 novembre 1911 – Nasce a San Prospero Attilio Bertolucci, poeta. Ha scritto sui giornali, ha tradotto libri e trasformato versi in prosa, ha prodotto critiche e sceneggiature. Ma è un poeta. Null’altro che un poeta. Perché vive fuori dal tempo. Invece che nel 1911, potrebbe essere nato il 18 novembre del 1700, dell’anno zero, del tremila, e non sentirebbe la differenza. Lui, sempre immune alle correnti di pensiero, alle mode letterarie, va in cerca dell’eterno nel quotidiano, delle radici che legano i suoi giorni ai tempi lontani e che gli promettono un’esistenza senza fine in coloro che verranno. Non distingue le figure di oggi da quelle che anta anni fa hanno calcato e dato forma alle strade su cui lui stesso cammina. L’eternità non è una grande quantità di tempo, ma l’assenza di tempo, è vagare fra oggi ieri e domani come spostare lo sguardo su un paesaggio. E Bertolucci lo sa fare. E lo sa raccontare, in immagini, colori e ricordi.
La sua prima raccolta di versi è del 1929: Sirio; si può pensare a qualcosa di più indifferente al tempo, che le stelle del cielo? Poi tace per cinque anni ed ecco Fuochi in novembre, il suo mese. E seguono 17 anni senza pubblicare poesie, fino a La capanna indiana. Venti anni di ancora di attesa per Viaggio d’inverno. Altri 13 per La camera da letto, che per essere completato nella seconda parte di anni ne richiede quattro.
Bertolucci è così, uno che il tempo non lo sente, non lo teme, può permettersi di farne passare a iosa, lo vede come l’acqua del fiume quando si sta seduti a riva: scorra pure, non mi trascina.
Solo alla fine, negli anni Novanta, la sua produzione pare accelerare, con le prose Aritmie e le rime Verso le sorgenti del Cinghio e La lucertola di Casalora racchiuse in sette anni. Evidentemente, la ricerca della bellezza intrinseca nelle cose, del senso dell’essere in quanto essere, gli ha fatto trovare molto, se Bertolucci d’improvviso ha fretta di dire tanto.
E poi se ne è andato, il 14 giugno 2000, in viaggio verso l’ultima eternità, luogo a lui così familiare, dove tutto si mescola, vivi e morti, collina e pianura, città e campagna, e il fiume del tempo smette di scorrere. Come aveva detto lui nella poesia Per nozze, da Viaggio d’inverno, di cui riportiamo pochi versi per ricordare il poeta:
“si fa di legna fiamma viva e cenere
immota nel teatro domestico
del camino mentre altre scene accende
o spegne, il borgo, il lungofiume: Parma,
città cara, popolosa di vivi
e di morti che s’attardano, una pacifica
confusione creando per le vie
aperte alla campagna: alla collina
celeste nella lontananza, alla bassa
che sa di fango e rosmarino, terre
del sangue e della memoria infantile
di cui si nutre e colora ogni frutto”.