18.10.1789. Un parmigiano testimone della Rivoluzione francese
18 ottobre 1789 – “Il Re si era rifiutato di dare la sua approvazione a vari articoli che gli erano stati presentati, e sembra gli fosse stato dato il cattivo consiglio di andare a Metz unendosi a un forte esercito. Ma al momento della partenza, essendosi saputa la cosa, si accese una rivolta di popolo, col pretesto del pane, e andammo a Versailles da dove tornò a Parigi col Re e la sua famiglia, e dove si trova sorvegliato dalla truppa nazionale. Fu uno spettacolo magnifico vedere il suo ingresso a Parigi. La marcia durò quasi tre ore, il re fu scortato da più di quarantamila uomini armati a piedi e a cavallo, trascinando tutto l’equipaggiamento militare di cannoni, munizioni, ecc.; le donne stesse del popolo hanno partecipato all’evento e ne hanno dato il via”.
È il racconto della marcia delle donne su Versailles, che costringe Luigi XVI ad accettare per intero la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. A parlarne è un testimone parmigiano, Pietro Antonio Martini, artista che da qualche anno si è trasferito in Francia e che nei mesi convulsi di questo anno cruciale scrive una dettagliata cronaca di tutto ciò che vede e a cui partecipa.
È risaputo che a Parma la Gazzetta non ha mai dato notizia della Rivoluzione. Eppure i fatti transalpini sono ben noti a chi stampa il giornale, perché Martini redige il suo racconto in un gran numero di lettere, in francese colto, spedite proprio a Georg Handwerk, direttore della Stamperia reale della Pilotta. Ad Handwerk, Martini spedisce ben 77 lettere ed un’altra è indirizzata ad Angelo Pezzana, bibliotecario della Palatina.
Improvvisamente travolto da eventi che sconvolgono il mondo, il parmigiano sente il bisogno di raccontarlo, assumendo i panni di cronista.
Il 13 luglio 1789, Martini scrive della celeberrima Dichiarazione universale:
“Stiamo incessantemente trattando della nuova Costituzione, abbiamo già dato gli articoli di cui ci occuperemo; come i diritti dell’uomo, i principi della monarchia, i diritti della nazione, i diritti del re, il potere giudiziario, il potere militare, ecc. questo ancora non smette di avere difficoltà. Vorrei dirvi tutto e in poche parole, e mi rendo conto che non vi sto dicendo niente, scusate la mia confusione”.
È la vigilia della presa della Bastiglia, evento che il nostro riporta solo in una lettera del 13 settembre: “la Bastiglia è ora a livello del suolo. Ecco cosa posso dirti”.
Spesso le parole tradiscono la paura di chi vede tutto cambiare senza una direzione certa. “Grande rumore a Parigi e Versailles”; “La paura era grande a corte”; “L’ansia cominciò a diffondersi nella capitale, quando il conte de Mirabeau, deputato al Terzo Stato, fece una mozione con l’eloquenza di Cicerone”; “Sembra che il soldato sia imbevuto di massime nazionali, e che se uno volesse dar loro ordini contro il popolo, non li eseguirebbe”; “Tu ami la Francia e anch’io; ma dubito molto che la buona Costituzione che vi si vorrebbe stabilire possa mai aver luogo. Troppe persone sono interessate agli abusi”; “Dio ce la mandi buona. Ecco dove siamo. Tutti sono molto preoccupati e vogliono la conciliazione. La Francia è perduta se non chiude i conti”; “Tutto è ancora nel disordine e nella confusione. Era una casa pronta a cadere in rovina e che veniva completamente ricostruita. Se la costruzione riuscirà, è certo che fra qualche anno sarà migliore della vecchia, ma c’è motivo di temere discordie tra gli operai e tutti gli interessati ai vecchi abusi”.
Martini è un incisore. Le sue opere migliori sono vedute del Salon degli artisti del 1787 a Parigi e del 1787 e del 1788 a Londra. Le sue lettere rivelano quanto difficile è vivere per un artista nella Francia della Rivoluzione. “Il commercio e le arti di lusso languono e ci vorrà molto tempo prima che tutto prenda una nuova attività”; “su come andrà a finire sfido il politico più scaltro a indovinarlo. Quanto a me, a cui non piacciono le discordie, ti rispondo che molto spesso desidero essere fuori di qui”.
Alla fine se ne andrà, a Londra e poi a Parma, portando però sempre con se un ricordo positivo dei giorni difficili vissuti a Parigi, tanto da ritornarvi nel 1791 per partecipare a nuovi moti rivoluzionari. Poi rientra definitivamente nella sua Parma, accompagnato da una bella francese, Luigia Prudent, che sposa, e fino alla morte racconta ai due figli e agli amici di quell’anno in cui si è trovato, senza volerlo, al centro della Storia.