17.8.1448. Omosessuale bruciato sul rogo
17 agosto 1448 – Giacomo Picciolo muore bruciato sul rogo in piazza Ghiaia a Parma. Non è una strega e neppure un eretico. Non è neanche un criminale. Ma è un omosessuale. Per la società del 1448, un uomo che possiede un altro uomo commette un grave delitto e lo punisce nel modo peggiore, con una morte di sofferenza.
È già successo alcuni secoli prima, nel 1282, quando sul rogo è morto Negro Puli, per lo stesso motivo.
A metà Quattrocento, la giustizia impartisce pene molto severe. Al rogo vengono mandati i falsari o anche solo chi tosa le monete, cioè le lima per rubarne parte del metallo, e i notai che producono falsi documenti. Pena di morte, per impiccagione, anche ai ladri arrestati per la quarta volta. E per gli assassini, ma per decapitazione, dopo essere stati tenuti alla berlina, cioè in gabbia, e trascinati legati ad un cavallo. L’omicida che uccide il padre, prima della morte viene pubblicamente torturato. Il taglio della testa è previsto anche per chi sequestra una persona e non la libera entro tre giorni; per chi somministra veleni; per chi appicca il fuoco in luoghi sacri. Sono poi previste amputazioni per chi fa il gestaccio delle fiche con la mano – amputato un dito –, per chi bestemmia i santi – amputazione della mano –, per il furto al secondo arresto – dell’orecchio –.
Vista dal XXI secolo, tuttavia, la pena subita da Giacomo Picciolo pare comunque terribile, perché non motivata da nessuna vera colpa.
L’omosessualità continuerà ad essere condannata e perseguitata ancora per secoli. In Epoca moderna la sodomia non sarà più punita con la morte, ma con altre misure comunque pesantissime.
Il 17 novembre 1746, Andrea Spottarelli di Soragna, dopo aver confessato sotto tortura di avere avuto relazioni omosessuali con Felice Zanati e con un tal Brandino, è condannato a sette anni di remo su una trireme. Nell’interrogatorio, il giovane Spottarelli ha l’orgoglio di affermare che nel suo comportamento non c’è delitto.