17.2.1847. Viglioli che dipinge come gli antichi romani
17 febbraio 1847 – Il pittore Giocondo Viglioli termina il proprio autoritratto ed un altro piccolo quadro con il volto di una donna. Ha utilizzato una tecnica nuova, o forse molto antica. Viglioli ha appena riscoperto – così lui dice – il modo di dipingere degli antichi romani, l’encausto, che fissa il colore con il calore rendendo eterno il disegno. La notizia della scoperta viene annunciata su Il mondo illustrato di Torino.
È da metà Settecento che si cerca di riprodurre le tecniche descritte da Vitruvio e altri scrittori classici, prima in Francia poi anche in Italia. Qualche tentativo c’era stato anche prima, come quello celeberrimo di Leonardo da Vinci, che nel 1503 a Firenze affresca un’intera parete con cera colorata per poi scaldarla con i bracieri, la famosa Battaglia di Anghiari: un fallimento totale, col colore colato sotto gli occhi dell’artista disperato. Invece Viglioli c’è riuscito.
Nell’Ottocento grazie a studi più sistematici e alle nuove conoscenze chimiche, sull’encausto arrivano risultati interessanti e Viglioli dà un contributo importante. Oltre all’encausto, sarà riscoperta anche la tempera.
Viglioli, che è nato a San Secondo e che ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Parma, accanto al lavoro artistico, ha iniziato una personale ricerca pure lui all’inseguimento delle antiche maniere.
Probabilmente, a dargli l’idea è stata una attenta osservazione dei dipinti fatti da Giovan Battista Trotti, il Malosso, nel Palazzo del Giardino, a suo dire prodotti proprio con una sperimentale procedura a caldo. Ma ad attirarlo è anche la grande moda per l’antichità suscitata dalle tante scoperte archeologiche, Pompei ed Ercolano in testa: la riscoperta delle tecniche romane potrebbe favorire i pittori nel trovare committenti, spiegherà più avanti.
Dopo che due chimici hanno analizzato un frammento di una sua opera, il 13 di questo stesso febbraio 1847, Viglioli tiene una dimostrazione pratica davanti ai professori dell’Accademia di Parma. Mostra una composizione con fiori ed uccelli variopinti ed un’altra con una rosa, su intonaco. Gli esperti confrontano il lavoro con un frammento di muro preso dagli scavi di Velleia e concludono che quella di Viglioli non è la stessa tecnica degli antichi, eppure è così diversa dai soliti affreschi, così vivi i colori, così solida la superficie, da meritare molti plausi e l’incarico di sperimentarla più in grande.
Giocondo Viglioli è un bravo pittore, ma non diventerà mai celebre, forse proprio perché impegnato più nei suoi esperimenti che nell’arte in senso stretto. Fin dai tempi del Parmigianino, a Parma ci sono artisti un po’ alchimisti. Proseguirà per tutta la vita nella caccia ai segreti degli antichi, che dipinsero con la cera calda prima ancora che col pennello. Solo all’età di 76 anni, nel 1885, Viglioli si deciderà a rivelare le sue scoperte in un libro: Del modo di dipingere a fresco su l’intonaco greco-romano. È convinto che il trucco stia tutto nella composizione dell’intonaco, che deve essere fatto di calce e quarzo.
Sarà vero? La caccia all’encausto di Vitruvio non è ancora finita.