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15.4.1815. Una carestia venuta dall’altra parte del mondo

15 aprile 1815 – Termina dopo dieci giorni di ininterrotta emissione di materiale igneo, la terribile eruzione del monte Tambora, in Indonesia, la più potente mai registrata in epoca storica.

Fra Parma e il monte Tambora ci sono 12.043 chilometri. Eppure, quel vulcano è esploso con tanta violenza da cambiare immediatamente la vita anche alla gente del parmense. Un cambiamento drammatico: l’eruzione del 1815 provoca una carestia tanto grave, che nei paesi dell’Appennino la gente muore letteralmente di fame.

Prima del Tambora, sono saltati in aria anche i vulcani Soufrière nei Caraibi (1812) e Mayon nelle Filippine (1814). Insieme hanno sollevato tanta polvere nell’atmosfera da aver modificato il clima. Il 1816 sarà definito “l’anno senza estate”, con tutto ciò che questo comporta per l’agricoltura.

In alta collina e nelle valli alpine, i cereali non riescono a maturare. Peggio ancora: il raccolto delle castagne è quasi nullo. Crescono solo gli ortaggi a foglia larga, di scarsissimo apporto calorico.

Ieri 26 luglio 1815 sentii dire che sia morto a Tiedoli [di Borgo Taro] un povero di quella Villa di vera fame e che un altro sia morto a Branzone di Val Mozzola”, annota sul suo diario don Girolamo Casanova, prevosto di Brunelli di Borgo Taro.

La carestia prosegue anche nell’anno successivo. Al 26 maggio 1816, i morti per fame nel circondario di Borgo Taro sono già diciotto. “Essendo alcuni stati sterrati dal Sig. Chirurgo Godani, non vi ha trovato cosa alcuna né nel ventre né nello stomaco”, sottolinea don Girolamo.

Il 5 luglio, il prete segnala che anche nella sua parrocchia ci sono due persone uccise dalla fame, perché il raccolto non si può fare: “La fame ora cresce più che mai per la ritardata maturità dei grani a cagione dei tempi perversi e freddi; ora i seminati sono nello stato che si vedevano altre volte alla metà di giugno”.

Nel 1817 il clima è ancora così alterato, che la carestia si prolunga nel suo terzo anno: “La fame poi di quest’anno non ha che fare colle passate degli anni avanti, superandole di gran lunga, sia per la mancanza dei generi quanto per la penuria estrema del denaro e per lo esaurimento di tutte le famiglie della Valle di Borgo Taro”. Chi aveva qualche cosa – scorte alimentari o soldi –, ha consumato tutto fra 1815 e 1816. Ora dalla crisi nera non si salva più nessuno.

La carestia dell’anno presente 1817 non ha che fare con le due o tre passate degli anni precedenti ed ella è appunto per questo più terribile perché succede alle altre. I poveri mangiano solo erbe selvatiche cotte e neanche salate e si cibano ancora dei più schifosi alimenti, come di lucertole, lumaconi, gatti e ieri è stato venduto un asino non a fine di servirsene per somiere, ma per mangiarlo. Spero che Iddio buono farà cessare questo pesante flagello e che quanto scrivo parrà incredibile ai posteri viventi in anni ubertosi; ma pure questa è verità di fatto che nemmeno io negli boni passati, mi sarei mai pensato che dovesse avvenire”.

Eventi come questi fanno riflettere su cosa significa alterare il clima; nel 1815 la causa furono i vulcani, che nessuno può controllare; oggi le azioni umane, che invece dovremmo governare.

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