15.11.1569. La storia raccontata in 350 sonetti
15 novembre 1569 – Nasce uno dei più prolifici poeti della Parma del Cinque e Seicento: Lodovico Bianchi, artista dimenticato.
Bianchi è autore di opere molto originali. La più originale di tutte è una sorta di libro di storia interamente in versi: oltre 350 sonetti che raccontano le gesta eroiche di circa 300 personaggi storici legati a guerre e battaglie.
L’opera, stampata a Parma nel 1639 (la dedica è datata 15 gennaio), inizia con una rassegna degli imperatori, da Giulio Cesare fino a Rodolfo II, suo contemporaneo. Segue la linea degli imperatori romani, quindi i bizantini, per saltare ai carolingi da Carlo Magno. Poi spazia nel tempo e nello spazio, magnificando in endecasillabi in rima personaggi che vanno da Annibale alla regina Zenobia, dal mitico Achille al biblico Giosuè, con ampio spazio per i soldati di ventura e i regnanti della primissima Età moderna.
Non mancano nomi legati al parmense. Ci sono sonetti per il terribile Ottobuono Terzi (“fabro guerrero, fece Italia tremar, scosse l’Impero”) e i suoi discendenti Nicolò, Francesco e Giacomo Terzi. Fra gli altri grandi feudatari del parmense, il nostro poeta dà spazio ad Angelo Sanvitale di Noceto, Orlando e Bernardo Rossi (“à Barbarossa infesto, di Parma e si sè stesso a doppia gloria, gli arse l’empia città detta Vittoria”), Adalberto e Sforza Pallavicino, Alfonso Sanvitale, Corrado e Ubertino Landi, Antonio e Bonifacio Lupi. Non può mancare Riccio da Parma, uno dei dodici della “disfida di Barletta” che per Bianchi è “Domenico Rizzi Parmeggiano”: “con duo compagni sol vinse lo stuolo de’ Franchi eletti a far l’ultime prove, e s’erse vincitor la fama a volo”. E naturalmente la dinastia Farnese, i signori di Parma, con versi per Ottavio Farnese e suo fratello Orazio, Alessandro Farnese e Ranuccio, oltre che per la duchessa Margherita d’Austria, alla quale in passato aveva dedicato un intero poema.
Lodovico Bianchi acclama pure un Gerardo Bianchi cardinale, che forse è un suo antenato, che “per incontrar senza timor la morte [… Parma] ricca lasciò di collegiate e scorte”.
Per vivere, anche Bianchi ha abbracciato la carriera ecclesiastica. È prevosto di Sant’Andrea, poi arciprete di San Pancrazio e infine canonico del Battistero. Durante la terribile peste manzoniana del 1630 si rifugia a Collecchio.
Verseggiare, al nostro poeta riesce facilissimo. Non solo dà alle stampe almeno quindici raccolte, ma si diverte pure in gare di improvvisazione. Qualcuno dei suoi versi improvvisati è stato registrato da un collega invidioso, che vuole fargli far brutta figura (Tommaso Stigliani, che chiama Bianchi “il Sissa”): “Occhi di bei zaffiri, per cui son fatti azzurri i miei desiri”; “Sorbiva in cima ai baci i miei sospiri”; “Così si visse, e fra pensier no buoni, distrusse mesi e lacerò stagioni”; “lascivo innesto, ambe le groppe aggroppa”. Queste rime rivelano sentimenti che non ci si aspetterebbe da un prete in piena controriforma.
Assai più canonica è invece una poesia composta attorno al 1630 dedicata a Parma e ai suoi regnanti:
“Parma
S’erge tra’l Re de’ fiumi, e’l Re de’ monti,
sovra le sponde d’un de’ figli suoi
bella, e vaga città sede d’heroi,
che divina s’unì già con tre ponti.
Piena è di nobiltà marchesi e conti.
Vaga d’un fior, che par ch’l suolo annoi,
più bel di quanti fur negli horti Eoi,
che s’apre sol de’ marmi in su le fronti.
S’alza stupor di fabri, e senza essempi
dà spettacoli, e studi, e dà consigli,
bellissimi palagi, e torri e tempi.
Il cui duca che splende in mezo a figli,
si mostra primo, e sol di tutti i tempi
di sei mondi signor fra stelle, e gigli”.